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Spy case in Libia. Arrestati cittadini russi con l’accusa di interferenze…

Le autorità collegate al Gna, il Governo di accordo nazionale libico, hanno arrestato alcuni russi che stavano lavorando per costruire un’impalcatura di consenso attorno a Saif-al-Islam Gheddafi, secondogenito del rais, detenuto fino al luglio del 2016 nel carcere di Zintan (rinchiuso sull’onda del regime change): è libero per un’amnistia decisa dall’allora governo di Tobruk (nel 2015). Ora è pronto a riprendere la carriera politica e, come da tempo dicono certe voci, lanciarsi alla guida del Paese in future elezioni.

Sebbene progettate, in questa fase in Libia non sembrano nemmeno vicini i presupposti per le urne, che teoricamente erano il processo conclusivo del mandato che le Nazioni Unite hanno affidato al Gna: rappacificazione est-ovest, stabilità, poi elezioni democratiche e crescita. In questo momento, siamo davanti alla terza guerra civile nel giro di pochi anni, perché il signore armato della Cirenica, Khalifa Haftar, ha cercato uno scacco su Tripoli proprio per rovesciare il Gna e prendersi il Paese con le armi. Haftar ha vari sponsor più o meno attivi, tra questi anche la Russia, ma la notizia dell’arresto apre uno scenario interessante.

I russi avevano già messo in piedi una centrale operativa per gestire l’iniziativa pro-Saif online. Hanno creato oltre duemila siti, blog e account sui social network per diffondere in Rete gli interessi del Cremlino sulla Libia, che a questo punto sembrano passare anche dal figlio del rais. L’ipotesi è ardita, ma ha legittimità e contorni.

Mosca sta scegliendo il cavallo su cui scommettere, vede il premier onusiano Fayez Serraj problematico, Haftar con sulle spalle il peso dell’iniziativa militare (e dei morti connessi, che difficilmente lo rendono potabile per un contesto elettorale), Saif sarebbe un’opzione da usare anche come attore per un qualche genere di partition territoriale in Cirenaica. La guerra prima o poi si fermerà, e a quel punto si forzerà il voto. I russi avvantaggiano i compiti. Operazione complessa: il figlio di Gheddafi ha dalla sua la provenienza, e in Libia conta. Contro suo padre si sono scatenate le milizie che nel 2011 hanno rovesciato il rais — con l’aiuto francese e britannico, e poi americano e italiano. Un’operazione che Mosca non ha mai digerito e sempre rinfacciato all’Occidente. Ma i gheddafiani restano, molti adesso sono con Haftar, veleni e rancori non sono ancora sopiti, odiano Misurata e Tripoli.

L’autoproclamanto Feldmarescisllo ha presa per questo su di loro, ma è anziano e in condizioni di salute instabili: sostituirlo col quarantanovenne Saif — sebbene con ruoli diversi, molto meno militari — sarebbe un lavoro complicato ma non impossibile, anche perché dalla morte del padre viene considerato il leader della resistenza nazionale della Jamāhīriyya.

Il cognome potrebbe portarsi dietro la giusta fedeltà, lo spin della troll factory russa, la propaganda, l’alterazione delle informazioni e la disinformatia, potrebbero fare parte del resto. I quattro arrestati — numero che ci conferma una nostra fonte misuratina — sono elementi collegati al mondo di Yevgeny Prigozhin, noto come “lo chef di Putin”, addetto a questo genere di operazioni particolari, finanziatore della Internet Research Agency di San Pietroburgo (“la fabbrica dei troll”) branca tra intelligence e difesa specializzata in infowar, sanzionato dagli Stati Uniti per le interferenze nelle presidenziali del 2016, e dietro alla Wagner, società di contractor visti circolare in Cirenaica come in Siria, Ucraina, Venezuela, Repubblica centroafricana eccetera.

Gli arrestati avevano incontrato personalmente Saif in almeno due occasioni da marzo a maggio (mese della cattura, sebbene la notizia esca adesso), uno degli appuntamenti era stato un “meeting sulla sicurezza”. Avrebbero già lavorato con lo scopo di alterare il corso delle elezioni in Madagascar — piani con cui la Russia vuole accrescere la sua influenza in Africa. Si portavano dietro laptop e chiavette USB, riferimenti alla Fabrika Trollei. Uno di loro è stato identificato dall’atto d’accusa arrivato ai media come Maxim Shugalei, un consulente politico russo che lavora per la Fondazione per la difesa dei valori nazionali che ha sede a Mosca e che fino a poco tempo fa gestiva un sito di notizie dagli Stati Uniti (“Usa Really”)  che il Tesoro americano ha collegato alle attività di Prigozhin.

Memo: su Saif pende un mandato d’arresto della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja per crimini di guerra durante la soppressione della rivolta del 2011, ma vive libero a Badia, vicino a Bengasi, centro di potere della Cirenaica haftariana.

 

 

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