Matteo Salvini non ha cultura di governo e con questa crisi agostana ha fatto un gran regalo alla sinistra italiana “modello Zelig”. Ne è convinto il senatore centrista Antonio Saccone (Udc/Fi) che con Formiche.net ragiona sul perimetro di piazza della proposta salviniana e sulla mancata trasformazione di una forza popolare a cui manca il salto ideale verso una proposta per il Paese. E al centro che guarda a Cairo dice che…
“Per noi Salvini è un problema politico molto serio – ha detto Silvio Berlusconi – Voleva Di Maio e ha consegnato il Paese alla sinistra”. Cosa cambia nella coalizione dopo l’attacco del Cav al leghista?
Come al solito Berlusconi coglie l’essenza delle cose. Il risultato della mossa del 7 agosto è purtroppo sotto gli occhi di tutti. Si è ricompattato il fronte di centrosinistra che io definisco ‘movimento Zelig’. L’unico dato positivo è che il M5S si colloca nel suo alveo naturale: quello della sinistra italiana.
Dove ha sbagliato Salvini, nel merito, nel metodo o nei tempi?
Salvini penso che abbia incassato una grande lezione: da soli non si può costruire un progetto di governo per il Paese. I voti non basta solo contarli, serve farli pesare. Ha commesso un grande errore dopo le elezioni europee: ha avuto in quel momento la grande chance di far pesare quei voti nei salotti che contano. Lo ha fatto il suo collega Orban che, solo privatamente, gli ha inviato un messaggio per poi esternamente adeguarsi alla nuova Commissione Ue. Così l’ungherese non è stato isolato e resta nello scacchiere in cui si decidono le sorti dell’Unione.
Il contrario di ciò che ha fatto Conte…
Entrare nel salotto non vuol dire rinunciare alla propria identità, tutt’altro: significa ribadirla, ma con maggiore forza in un tavolo dove si conta. Oggi a mio modo di vedere l’Europa saprà uscire bene perché la crisi economica non attanaglia solo l’Italia ma anche tutti gli altri, Germania in testa. La crisi sarà l’occasione di allargare le maglie del bilancio, con parametri ridiscussi accanto ad una minore rigidità. Ciò potrà favorire i governi nazionali. Temo però che la compagine che si stia costruendo in Italia, interamente spostata a sinistra nonostante l’abilità di Matteo Renzi, non so fino a che punto saprà sfruttare l’occasione.
Tornano i soliti nomi allora?
Penso a Carlo Cottarelli, persona stimabilissima, ma che come primo passo ha proposto tagli e sforbiciate, come quelli sul bonus cultura, per racimolare alcuni miliardi che servono. Un approccio matematico come fu quello del governo Monti che rischia di ritornare, una sorta di deriva in stile troika che va a cozzare con le esigenze di famiglie e cittadini. In questo Salvini ha ragione quando dice che dà la misura della distanza fra chi sta per governare e le esigenze del Paese. Continuare con i tagli lineari senza comprendere che l’essenza del bonus cultura introdotto da Renzi era utile a 500mila giovani, offre la spia del modo di essere della sinistra italiana.
Salvini a lezione da Tatarella: per i sovranisti potrà esserci un’evoluzione come il Msi con An?
Apprendo che Salvini ha convocato una grande manifestazione di piazza: intendiamoci, è sempre legittimo manifestare ma anche in questa mossa non vedo un salto di qualità nella cultura di governo. Vedo ancora insistentemente l’esigenza della propaganda. Se penso per un attimo alle grandi manifestazioni di piazza mi viene in mente la marcia dei 40mila di Torino. Quello fu davvero un salto di qualità relativamente all’utilizzo della piazza. Oggi rievocare la piazza per dire che bisogna votare, ma sapendo anche che le regole sono altre, dà la dimensione in cui si trova Salvini: ovvero ancora dentro la battaglia politica, senza provare il salto che ne faccia un uomo di governo.
Oggi Ignazio La Russa sul Giornale dice che serve un nuovo dialogo con Forza Italia: anche Fdi ha capito che il truce è inaffidabile?
A differenza di ciò che pensano altri, io ritengo che Salvini abbia ancora grandi possibilità di rientrare ma gli serve dotarsi di una cultura di governo. È legittimo che si sia speso tanto per costruire il consenso, ma ricordo che la Dc ci ha consegnato un passaggio importantissimo: l’incompatibilità. Ruoli ministeriali e capi di un partito devono restare separati. Il segretario di un partito si preoccupa di costruire il consenso, mentre chi riveste un ruolo istituzionale deve abbandonare quella veste preoccupandosi di governare bene e per tutti. Anche agli occhi delle altre cancellerie. Per cui mentre Salvini pensava al consenso, Conte si andava ad accreditare in Europa. Ricordo che il ministro dell’interno affermò “molti nemici molto onere”: gli suggerirei di far ricorso ad un altra frase che lo avrebbe aiutato maggiormente, quella di Giulio Andreotti “pochi nemici buona politica”.
Che ne pensa del manifesto programmatico lanciato da Urbano Cairo al Foglio?
All’Italia mancano il centro e la cultura moderata di aggregazione. Il problema non è Salvini che ha recitato bene il proprio ruolo di estremo, ma noi al centro che abbiamo rinunciato a costruire proposte e strategie. La storia di Cairo parla di persona concreta e che si vuole mettere in discussione nell’interesse del Paese. Pensiamo che quasi il 50% di nostri connazionali non è andato a votare alle europee. Vorrei fare un parallelo con Berlusconi: nel ’93 ebbe quella grande intuizione perché comprese che le idee liberali, riformiste e cattoliche erano maggioranza nel Paese ma rischiavano in quel contesto di non avere un’adeguata rappresentanza. Da lì nacque Forza Italia. Oggi credo che Cairo abbia compreso come vi sia il bisogno di chi presìdi quel territorio.
twitter@FDepalo