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Conte a palle incatenate, la crisi di governo è tra noi

Avremo modo di analizzare con calma nelle prossime ore e giorni gli effetti di questo pomeriggio al Senato, ma a caldo emergono tre evidenze di “primo livello”, collegate esplicitamente agli interventi più importanti, cioè quelli di Conte, Salvini e Renzi. Cominciamo dal premier e dai suoi 60 minuti di discorso. Qui ci sono due aspetti importanti da prendere in considerazione.

Il primo è il trattamento riservato al suo ministro Salvini, che è stato semplicemente spietato.
Con aggettivi, aneddoti, date e quant’altro il presidente del Consiglio ha tratteggiato un quadro pieno di critiche, riserve, preoccupazioni della figura del suo vice, sostanzialmente provando a metterne in discussione lealtà personale, capacità di governo ed affidabilità morale.
Solo il tempo ci dirà quale effetto avrà tutto ciò, ma va osservato da subito che mai nella storia della Repubblica un primo ministro ha usato parole come quelle che Conte ha riservato oggi al suo ministro dell’Interno, nonché responsabile della sicurezza nazionale (compreso un compiaciuto riferimento al Russiagate).

Poi c’è la seconda parte del discorso di Conte, quella rivolta al futuro. Qui il premier compie due operazioni: polverizza la leadership di Di Maio e si candida a gestire (lato M5S) la trattativa con il Pd per il nuovo governo. Dopo Conte parla Salvini, che cerca di replicare con un intervento orgoglioso ma ancora politicamente fuori fuoco. È chiaro che Salvini fatica a tenere il passo della crisi che lui stesso ha provocato, tanto è vero che finisce per proporre a Di Maio di mantenere in vita l’accordo per votare insieme la riduzione dei parlamentari (tema tabù per il Pd).

Insomma è un Salvini tonico ma ancora fuori fuoco, tutto sommato alla ricerca del suo nuovo ruolo che però ancora non c’è. Infine Renzi, brillante come ai tempi d’oro. Direi il miglior Renzi in Parlamento dai gloriosi mesi del 2014-2015. Quindi perfetto per fa incazzare Zingaretti.

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