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L’assalto alla diligenza non paga, e i conti non tornano. La versione di Becchetti

Sognare non costa nulla, ma se ognuno poi quei sogni vuole vederli realizzati allora la musica cambia e i conti sballano. L’Italia che sia avvia alla sua seconda manovra gialloverde rischia di fare, più o meno, questa fine. Sempre che qualcuno non azioni il freno d’emergenza un minuto prima, qualcuno come il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Leonardo Becchetti, economista e docente a Tor Vergata, la mette giù molto semplice: non si può avere tutto, qualcuno nel governo, Lega o Movimento Cinque Stelle che sia, dovrà rinunciare a qualcosa.

I CONTI (NON) TORNANO

“Se nessuno farà un passo indietro il banco salterà inevitabilmente”, premette Becchetti. “Dobbiamo capire se c’è qualcuno che abbia voglia di rompere o meno. La Lega vuole una flat tax che costerà non meno di 15-20 miliardi, l’Europa invece chiede una riduzione del deficit e poi c’è un’Iva da disinnescare, per un valore di 23 miliardi: è evidente che i conti non tornano. Tria sta facendo i salti mortali per trovare le risorse, già qualcosa ha trovato riducendo per esempio i sussidi alle fonti fossili, però non bastano. Si parla di un riordino delle agevolazioni fiscali, ma nessun governo ci è mai riuscito. Francamente ho anche dei dubbi su questa operazione, per esempio togliere quelle sulle ristrutturazioni edilizie potrebbe aiutare il nero e dunque, paradossalmente diminuire il prelievo fiscale“.

LA PARTITA DI TRIA

Becchetti sa fin troppo bene che Tria dovrà ancora una volta fungere da mediatore tra il governo a trazione gialloverde e un’Europa che si aspetta il rispetto dei patti siglati nei giorni della procedura di infrazione. “Credo che innanzitutto dovrà essere abile a trovare più risorse possibili e questo per non aumentare la tensione nel governo. E poi capire fino a quando è possibile accettare dei compromessi. Uno di questi sarebbe l’aumento dell’Iva selettivo, ovvero non aumentare l’Iva alle filiere che si contraddistinguono per sostenibilità ambientale e sociale. Per esempio, quando si alzano le tasse sul fumo, nessuno dice niente. Il problema è che non si è arrivati a questa consapevolezza, diciamo industriale e fiscale”.

IL REBUS DEL SALARIO MINIMO

C’è un’altra questione sulla quale Becchetti si sofferma. E cioè il possibile scambio salario minimo-cuneo fiscale. Un’ipotesi che però, come raccontato da Formiche.net, non piace alle imprese. E che trova perplesso lo stesso economista. “Per le imprese si tratterebbe di un sostanziale pareggio, semmai ci sarebbe un vantaggio per i lavoratori. In realtà però il salario minimo ha parecchie controindicazioni perché per le imprese comporterebbe un aumento del costo del lavoro pari al 30% e poi non è detto che il gioco funzioni: in agricoltura abbiamo aziende efficienti che pagano dignitosamente il lavoro, altre no, ma queste seconde non si possono mica cancellare. Si tratta di una misura decisamente incerta, e poi non dimentichiamoci che se ci mettiamo salario minimo sommato a taglio del cuneo per lo Stato è comunque un costo e allora si torna al punto di partenza“.

RIPRESINA IN VISTA?

Volendo allargare lo spettro, che ne sarà della nostra economia? L’Istat oggi ha dato segni di speranza, ma è davvero così? “Non dobbiamo perdere questa grande occasione, la politica monetaria finora è stata accomodante, quello che dice l’Istat ci dice che abbiamo un’occasione per investire, è il momento di lanciare politiche per gli investimenti serie. L’errore più grande che poteva fare questa governo e che ha fatto è stato depotenziare Industria 4.0”.

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