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Vi spiego quale sarà la (vera) manovra gialloverde. Parla Cipolletta

Tanto tuonò che alla fine non piovve. Matteo Salvini e Luigi Di Maio continuano a rilanciare nei giorni in cui si apre ufficiosamente il cantiere della manovra, le loro misure bandiera, di cui peraltro non sono ancora state indicate le relative coperture. Tutto però dovrà necessariamente confrontarsi con i patti siglati tra l’Italia e Bruxelles un mese fa, nei giorni che sancirono lo stop alla procedura di infrazione per debito eccessivo. Lo sa fin troppo bene un economista come Innocenzo Cipolletta, un passato ai vertici di Confindustria in veste di dg e oggi presidente di Assonime, l’associazione delle società per azioni.

Cipolletta, i prossimi due mesi si preannunciano caldissimi per i nostri conti. Lega e Cinque Stelle sembrano voler mettere molta carne al fuoco, tra flat tax e salario minimo. Ma c’è un’Europa alla quale abbiamo promesso in sede di infrazione di ridurre il nostro deficit. Come la mettiamo?

Non v’è dubbio che dovremo rispettare gli impegni presi con l’Ue, quindi la prossima legge di Stabilità sarà presumibilmente una grossa manovra a somma “negativa”, ossia il cui risultato dovrà essere una riduzione del disavanzo pubblico. E per tentare di conciliare le promesse del contratto di governo con gli impegni europei assisteremo a molte misure che si elideranno tra di loro.

Addirittura? Si spieghi…

La flat tax, limitata a pochi soggetti, assorbirà gli 80 euro di Renzi e alcune detrazioni o deduzioni fiscali. L’abolizione dell’aumento dell’Iva si finanzierà con i maggiori incassi derivanti dalla fatturazione elettronica e con qualche revisione delle aliquote ridotte. Anche l’ipotizzata nuova imposta locale che assommerà Imu e Tasi potrà dare un qualche contributo. Alla fine ci saranno maggiori imposte e qualche minore spesa che compenseranno le riduzioni di imposte promesse nel contratto di governo, e ciò ci consentirà di mantenere più o meno gli impegni europei. Questo è quanto è probabile che succeda e, se dovesse succedere, sarebbe forse il minore dei mali, anche se l’Italia soffre di continue modifiche del sistema fiscale che generano incertezza e riducono la propensione a investire nel futuro.

Cipolletta, alle imprese sembra non piacere il baratto salario minimo in cambio di un taglio al cuneo fiscale. Vantaggi per le aziende troppo incerti a fronte di un costo certo, dicono da Confindustria. Lei che ne pensa?

Sono d’accordo che non conviene affatto alle imprese. Il salario minimo è cosa certa e definitiva mentre eventuali riduzioni del cuneo fiscale saranno a termine e presumibilmente verranno modificate già dall’anno successivo. Poi c’è da dire che il cuneo fiscale per i salari bassi è fatto essenzialmente dai contributi sociali perché il peso del fisco è minimo e in taluni casi nullo. Ridurre gli oneri contributivi comporta per il lavoratore una perdita della pensione futura, che sicuramente non sarà disposto ad accettare. Se invece si decidesse di fiscalizzare questi contributi sociali, ossia se fossero pagati dallo Stato con le entrate fiscali, dovremmo avere un aumento della pressione fiscale ovvero dovremmo assistere a un maggior disavanzo pubblico.

Aumentare il deficit? Poi qualcuno dovrebbe raccontarlo all’Europa…

Infatti, una cosa che, come detto, appare non proponibile e che, anche se fosse adottata per un anno, verrebbe subito cancellata nel corso del tempo. Per questo sono del tutto d’accordo con Confindustria a non accettare lo scambio, che mi ricorda gli anni delle fiscalizzazioni degli oneri sociali, quando ero direttore generale di Confindustria e le battaglie che dovevo sostenere ogni anno perché il governo non abolisse questa misura, adottata, anche in quei casi, per favorire aumenti salariali richiesti dai sindacati.

I mercati, dopo il disinnesco della procedura di infrazione, sembrano averci dato un po’ di respiro. Illusione ottica o credibilità recuperata?

Entrambe le ragioni. L’azione di Conte e Tria nei confronti dell’Ue ha dato i suoi frutti ed i mercati hanno valutato positivamente l’impegno del governo italiano a rispettare le cifre del Def, malgrado le minacce dei due vicepremier che dicevano il contrario. Ma c’è anche un po’ d’illusione ottica o, se vuole, un po’ di cinismo di breve periodo. Infatti, se l’Italia non è più un problema nel corso dei mesi estivi, allora conviene acquistare titoli pubblici italiani a breve scadenza perché rendono ben di più che gli altri titoli: pensiamo a quelli tedeschi i cui tassi sono negativi. Ovviamente questa calma sui mercati durerà fino a settembre quando ricomincerà il balletto delle cifre per la prossima legge di stabilità.

Ieri l’Istat ci ha detto che la nostra economia potrebbe rialzare la testa nei prossimi mesi. Eppure abbiamo ancora il terzo debito al mondo e paghiamo tassi superiori alla media europea per collocare i nostri titoli di debito sui mercati. Dove sta la verità?

L’Istat non ha torto. Anche io penso che il secondo semestre sarà migliore del primo, se non ci sarà un crollo del commercio mondiale a causa delle pazzie di Trump che sta sconvolgendo i mercati (e speriamo che sconvolga solo i mercati e non produca una guerra). La ripresa potrebbe venire da un qualche recupero di investimenti, dalla migliorata occupazione e soprattutto grazie al reddito di cittadinanza che ha messo nelle tasche di famiglie bisognose un po’ di denaro che verrà speso. Invece quota 100 giocherà in senso opposto perché sottrae reddito alle famiglie: chi va in pensione anticipata prenderà una pensione che sarà inferiore al salario fin li percepito e tenderà a risparmiare il Tfr per il futuro. Inoltre, poiché chi andrà in pensione non verrà sostituito che parzialmente e dopo un certo tempo da nuovi occupati, nel complesso la misura sarà recessiva.

Insomma, bene ma non benissimo…

L’economia italiana crescerà poco comunque nel 2019 e nel 2020, frenata da un contesto internazionale incerto e da politiche economiche contraddittorie di questo governo. Confido però che la revisione dei conti nazionali annunciata dall’Istat ci porterà sorprese positive con un Pil maggiore di quello fin qui stimato.

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