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Conte, Salvini, Zingaretti. Le pagelle della crisi secondo la Maglie

Piano con i verdetti. Maria Giovanna Maglie, giornalista di lunghissimo corso e già inviata della Rai negli Stati Uniti, spiega che in questa strana crisi agostana tutte le finestre restano aperte. Anche quella del voto.

Ha sentito le condizioni di Zingaretti per il governo rossogiallo?

Ha partorito cinque punti finti su cui chiunque può essere d’accordo. Zingaretti è il vero punto interrogativo di questa crisi.

Perché?

Chiedendo di tornare al voto poteva far fuori Matteo Renzi, fermare la scissione, liberarsi dalla morsa di gruppi parlamentari che non gli obbediscono e si ritengono una repubblica a parte. E soprattutto sconfiggere i Cinque Stelle alle elezioni, ora che sono più deboli.

Perché si è adeguato alla linea Renzi?

Per una debolezza strutturale che è la stessa del suo partito. Il Pd si proclama il partito “dei migliori” ma è fatto di mediocri. Quando c’erano i comunisti si distingueva qualche grande personaggio, oggi c’è il deserto dei Tartari.

Va a finire che la Maglie la pensa come Calenda…

Calenda dice cose di buon senso, niente più. È uno dei tanti che di colpo vengono incensati come giganti del pensiero. Ha semplicemente capito che rimandare il voto in là significa regalare consenso a Salvini.

Ora che succede? Mattarella troverà la quadra?

Mattarella è molto diverso da Napolitano. È un ex Dc, non un comunista, e sa bene che non si può prescindere dalla volontà popolare, che oggi per gran parte chiede di tornare alle urne. Non credo che ridarà l’incarico a Conte con una maggioranza diversa da quella che lo ha sostenuto un anno. Proverà con una personalità terza.

Quindi si va verso un governo di scopo?

Per un governo di legislatura mancano le basi. Certo, pur di non tornare a votare i Cinque Stelle sono capaci di dichiararsi tutti democristiani domattina. Ma restano distanze abissali per un programma con il Pd. I dem non possono mandare giù il reddito di cittadinanza. Per non parlare delle poltrone, che saranno il vero pomo della discordia.

Insomma, la finestra di voto ancora non è chiusa?

Direi che le chances sono 50-50%. A favore del voto depongono le tempistiche. Anche Mattarella non vuole perdere altri 89 giorni, e un paio di settimane non sono sufficienti per tutti i bizantinismi di un accordo politico Pd-M5s. Nell’altra direzione rema il partito del non voto, guidato dall’Ue. E da chi vuole mettere le mani sulla grassa partita delle nomine in primavera.

Quindi un Conte bis è escluso. Che impressione le ha fatto l’avvocato al Senato?

Una modesta arringa da avvocato di provincia. Conte è stato baciato dalla sorte grazie a un governo innaturale che richiedeva una figura di garanzia. Poi si è montato la testa.

All’estero è molto apprezzato.

Può essere, ma è troppo facile giocare a fare lo statista senza avere i voti. Da mesi Conte si è messo sul mercato di Bruxelles, convinto di ricevere un’investitura. Senza capire che parlare con la Merkel non significa essere un suo pari.

E Salvini come è andato?

Il suo al Senato è stato un discorso elettorale, si è tenuto su toni bassi perché parlava al popolo italiano e non ai parlamentari presenti. Lui si ritiene un leader del popolo e sente di dover agire di conseguenza, anche nella forma.

Questa crisi porta il suo nome. In molti gli rinfacciano di aver mandato tutto all’aria troppo presto, o troppo tardi.

Salvini ha cercato di governare per un anno dialogando con la parte “buona” del Movimento Cinque Stelle che aveva il volto di Luigi Di Maio. Dietro le quinte gli altri grillini hanno continuato a tramare. Qualcuno, come il gruppo a Bruxelles, accettando di svendersi completamente a Merkel e Macron.

Va bene, ma è stato Salvini a staccare la spina. Un giorno dopo aver incassato la fiducia sul decreto Sicurezza bis.

Non credo la sua sia stata una boutade. Salvini non tenta un all-in se ci sono alternative. Credo fosse stato avvisato da tempo di alcuni movimenti del suo partner di governo. Il voto a favore della von der Leyen ha calato il sipario. Quando Salvini ha capito che i Cinque Stelle volevano scrivere una finanziaria con il deficit all’1,8% ha evitato la trappola prima che fosse troppo tardi.



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