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La crisi? Un grande girotondo. La soluzione? Non impossibile. Silenzio, parla Parisi

Alleanza Pd-M5S per un nuovo esecutivo? Il Rosatellum, se si andasse a elezioni subito, non cambiarebbe la situazione di caos che si creò all’indomani delle elezioni politiche del 2018, ed “è solo il rischio che fra pochi mesi siamo punto e da capo il motivo che giustifica questo tentativo”. Sono le parole di Arturo Parisi, già ministro della Difesa e sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Romano Prodi, a cui Formiche.net ha chiesto come potrebbe andare un’alleanza tra i 5 Stelle (traditi dalla Lega) e il Partito democratico di Zingaretti (e Renzi).

Professor Parisi, partiamo dalle parole di Prodi: dalle pagine del Messaggero parla di un governo di legislatura. Difficile, ma non impossibile?

Non mi sembra che Prodi abbia detto difficile. Ha detto difficilissimo. E al suo superlativo assoluto io aggiungo: ancora più difficile se costruito sulla base delle condizioni indicate da Prodi come inderogabili. E tuttavia una ipotesi da verificare. Alla luce del sole. Spiegando come qualcosa prima impossibile sarebbe diventata non impossibile. Il ritorno ad una logica proporzionale reintrodotta dal Rosatellum non consente infatti di coltivare l’illusione che da una nuova elezione esca un governo fondato su un patto che stretto dai partiti davanti agli elettori. Già l’anno scorso abbiamo visto che fine ha fatto la coalizione di centrodestra che dalle urne era pure uscita prima. Ridotta come prevedibile ad un semplice apparentamento elettorale tra partiti messo in piedi per appropriarsi di qualche seggio in più grazie alla quota maggioritaria, i partiti si spartirono i posti conquistati dimentichi del fatto che li avevano conquistati proclamando la loro unità difronte agli elettori. È il rischio che fra pochi mesi siamo punto e da capo il principale motivo che giustifica questo tentativo. Altrimenti tanto varrebbe tornare alle urne. Come lo stesso Prodi ha detto, in democrazia le elezioni non possono essere mai considerate una patologia. Diventano una patologia solo se, guidate da una coazione a ripetere, sono incapaci di offrire agli elettori la possibilità di scegliere tra proposte che mettano capo a un governo.

Come pensa sia possibile un dialogo tra il Partito democratico e M5S, dopo gli attacchi anche violenti degli scorsi anni e mesi?

Non impossibile. Ma, come ricorda bene, difficilissimo. Ancora più se all’impresa dovessero partecipare altre forze politiche. Se l’anno scorso il dialogo tra Pd e 5S già allora ipotizzato e da alcuni incoraggiato, a cominciare dallo stesso Prodi, non riuscì neppure a decollare, non fu per un capriccio. E se in questo anno l’iniziale opposizione di Renzi, determinata e determinante, ha coinvolto tutto il partito è a causa di ragioni profonde. Dalla distanza di posizioni per il molto che vede i due partiti diversi. E forse più dalla competizione tra loro per quel tanto che li vede vicini. Perché il dialogo parta c’è bisogno di una volontà dichiarata da entrambe le parti. Da entrambe. E onestamente ancora non si è vista. Ma perché il dialogo arrivi c’è bisogno di verità. Del riconoscimento puntuale delle cause che lo hanno impedito, senza farsi alcuno sconto. Per rispetto verso i propri elettori e direi ancor di più per rispetto verso i propri interlocutori. Il riconoscimento che Salvini per sua iniziativa si è svelato e dichiarato nemico a entrambi può spiegare l’avvio ma non assicura la conclusione. Quello che deve al più presto finire è questo girotondo, messo in moto dalla sfida di Salvini, che, a cominciare da Renzi, ha indotto ognuno a spostarsi con troppa velocità su una posizione fino a ieri avversata generando una girandola che i cittadini hanno difficoltà a comprendere. Non vorrei che al ritorno dalle spiagge di agosto i rappresentanti scoprissero che mentre loro giravano vorticosamente non altrettanto giravano i loro rappresentati. E come nei girotondi dopo “cascato il mondo e cascata la terra” i rappresentanti finissero tutti giù per terra. Con troppi rappresentati tentati dal tornarsene “tutti a casa” come accadde in un lontano 8 settembre alla fine dell’agosto del 1943. È necessario che ognuno recuperi velocemente il contatto con i propri elettori. Pensando a come l’anno scorso, per approdare al contratto per il cambiamento, si impiegarono tre mesi pieni, non vorrei che qualcuno pensasse che per varare nientedimeno che un governo di legislatura bastassero pochi giorni.

Da dove partire? Una coalizione Orsola, ha detto Prodi, con punti fissi. Quali dovrebbero essere, a suo giudizio?

Prodi è stato chiarissimo. L’accordo deve prima di tutto fondarsi sulla difesa del progetto europeo e sulla scelta rinnovata che l’Italia partecipi attivamente al suo svolgimento. Dal riconoscimento che, ora più che mai, il punto di partenza è rappresentato dalla condivisione del giudizio sulle relazioni internazionali. Ci vorrebbe pure che ottobre trovasse l’Unione Europea alle prese contemporaneamente con la Gran Bretagna coinvolta nel tempo finale della Brexit e l’Italia nella più totale confusione. Quanto agli altri punti quelli indicati da Prodi sarebbero già sufficienti per darsi un tempo almeno pari a quello che in Germania le due principali formazioni politiche si diedero lo scorso anno. Ben più di tre mesi. Certo iniziando dai numeri e dalle voci della prossima legge finanziaria, ma prima ancora dal confronto tra le diverse, molto diverse, idee di democrazia che guidano i due partiti. A cominciare dalle riforme costituzionali già in dirittura di arrivo che i 5S hanno messo sul tavolo come precondizione. Penso alla riduzione dei parlamentari ma non solo. Da questo punto di vista mi ha molto preoccupato la velocità con la quale l’accordo sul tema è stato dato, se non proprio scontato, a facile portata di mano.

Andrea Orlando ha detto ieri di ricordare, al momento delle scelte, che “contrapporre l’interesse nazionale all’interesse del Pd è semplicemente una stupidaggine” perché “se scompare il Pd scompare l’unica forza in grado di fermare il populismo”. C’è questo rischio?

Non mi sembra che la scomparsa del Pd sia in vista. Quello che invece temo è l’abbandono della sua vocazione generale, che non è né l’illusione né la pretesa dell’autosufficienza, ma l’attenzione al tutto e a tutti, certo guidati da una scala di priorità, ma senza esclusione alcuna.

Come valuta l’operato di Giuseppe Conte come presidente del Consiglio?

Non è dalle qualità personali più o meno palesi che si valutano i Presidenti ma dalla azione del governo al quale hanno associato il proprio nome. Se il segno del saldo del governo ora cadente fosse positivo non saremmo certo qua a parlarne nei termini nei quali ne abbiamo parlato.

Vede possibile un Conte-bis?

Un Conte2? Mi verrebbe da chiederle: perché c’è stato un Conte1? Ma il problema è ben altro. Come si potrebbe mai evocare una qualche continuità tra quel governo del cambiamento che volge ora al termine, e quel governo di legislatura del quale si discute?



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