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Difesa, Washington sferza (ancora) la Germania. Messaggio anche all’Italia?

Ripartono le critiche sul fronte della difesa degli Stati Uniti di Donald Trump alla Germania di Angela Merkel, accusata a più riprese di investire troppo poco nel settore. Il nuovo affondo arriva direttamente dall’ambasciatore americano a Berlino Richard Grenell, a solo un giorno dalla stoccata della collega a Varsavia Georgette Mosbacher. Il tema coinvolge difatti anche la Polonia, che da diverso tempo si è proposta a Washington quale partner privilegiato all’interno dell’Unione europea, un’ambizione che conserva anche l’Italia (viste le difficoltà a gestire il fronte franco-tedesco), e che forse ha avuto un ruolo notevole nel far esplodere la crisi di governo tra Lega e M5S.

L’ACCUSA A BERLINO

“È davvero offensivo dare per scontato che i contribuenti americani debbano continuare a farsi carico dei 50mila e più militari americani in Germania, mentre i tedeschi spendono il loro avanzo di bilancio su programmi nazionali”, ha detto l’ambasciatore Grenell nell’intervista all’agenzia di stampa tedesca Dpa. Il tema è noto, toccato più volte da Donald Trump, e da inserire nel dibattito sul burden sharing interno all’Alleanza Atlantica (quello che lo scorso anno rischiò di far esplodere il summit di Bruxelles). L’attuale presidenza americana ha chiesto da subito agli alleati di rispettare gli impegni presi in Galles nel 2014, investendo entro il 2024 il 2% del Pil. Nonostante un ingente piano di potenziamento della Difesa, la Germania (al pari dell’Italia, che però non può contare sulla stessa pianificazione) non raggiungerà la quota prevista. Sul tema, dall’alleato d’oltre-oceano sono piovute ingenti critiche piuttosto generalizzate, che però hanno avuto come principale destinatario proprio Berlino. La ragione è duplice: lo strumento militare tedesco è effettivamente poco competitivo; e con la Germania ci sono diverse frizioni commerciali.

LA POLITICA DI DIFESA TEDESCA

Le ultime parole del diplomatico Usa hanno però aggiunto un elemento in più, e cioè l’accento sui programmi nazionali portati avanti dai tedeschi. L’impressione è che a Washington non piaccia la piega che ha preso il nuovo attivismo di Berlino nel campo della Difesa, difatti appiattito sulle ambizioni francesi di un primato in Europa e di una certa autonomia rispetto agli Usa. Probabilmente nello stesso senso è stato interpretato il passaggio di Ursula von der Leyen al vertice della Commissione europea dopo un’esperienza da ministro della Difesa in cui ha consolidato i rapporti con i francesi. Tra l’altro, Annegret Kramp-Karrenbaue ha già illustrato una gestione della Difesa tedesca in totale continuità rispetto alla predecessora.

LA SPONDA POLACCA

A ciò si aggiunge la sponda polacca, evidente nell’uno-due di Grenell e Mosbacher. Ieri, l’ambasciatrice a Varsavia aveva sottolineato che “la Polonia spende il 2% del Pil in difesa, come da impegni presi con la Nato; la Germania no; per questo le forze americane sarebbero benvenute in Polonia”. Il riferimento è allo scenario illustrato da Trump lo scorso giugno, quando il presidente ricevette la visita del premier polacco Andrzej Duda palesando l’ipotesi di uno spostamento dei militari presenti in Germania. L’idea è rilanciata dallo stesso Grenell: “Trump e Georgette hanno ragione; più di un presidente ha chiesto alla principale economia europea di pagare per la sua difesa; ora siamo a un punto in cui gli americani e il presidente reagiranno”. La reazione guarda proprio a Varsavia. La visita di Duda a Washington ha suggellato il rilancio di una relazione fondata su segnali piuttosto concreti di impegno, con la richiesta polacca per 32 velivoli F-35 e il potenziamento della presenza militare Usa nel Paese. Non a caso, il premier polacco fu accolto da Trump con il primo sorvolo del caccia di quinta generazione sulla Casa Bianca.

IL SEGNALE PER L’ITALIA

Il tema interessa anche l’Italia. Con l’uscita del Regno Unito dall’Ue, si è aperta la possibilità di diventare primo partner degli Stati Uniti nell’Unione europea. Un’opportunità ghiotta, espressa tanto da Giuseppe Conte quanto da Matteo Salvini. Proprio la Polonia dimostra tuttavia che l’attuale presidenza americana non si accontenta dei proclami. Trump chiede segnali concreti, tra cui c’è anche il programma Joint Strike Fighter (su cui l’Italia permane in preoccupante incertezza= e le relazioni che si intendono instaurare con il Dragone cinese (per cui gli occhi sono sul decreto golden power). Su questo, il governo giallo-verde è apparso piuttosto indeciso, alimentando le preoccupazioni americane e incrinando l’ambizione leghista ad avere negli Usa l’alleato di riferimento sul panorama internazionale. Forse anche per questo Matteo Salvini ha deciso di staccare la spina all’esecutivo. D’altra parte, con l’asse franco-tedesco che procede spedito e il Regno Unito di Boris Johnson che abbraccia Trump, non sembrano esserci altre ipotesi di alleanze all’interno del Vecchio continente.

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