Skip to main content

Pd? Mai con la Lega. Conte? Un osso duro. Paolo Franchi legge la crisi e a Bersani dice…

Non un contratto alla rovescia, quello di cui si mormora tra M5s e Pd, ma un percorso politico che presupponga partiti e leader davvero in grado di affrontare un processo simile. Ce ne sono oggi in Italia? Se lo chiede Paolo Franchi, giornalista e scrittore, già direttore del Riformista e editorialista del Corriere della Sera, puntando l’indice non solo sulla guida leghista sgrammaticata (politicamente e istituzionalmente) ma anche sulle criticità intestine dei dem e sulla sorpresa Conte.

“Questi sono capaci di tutto e del contrario di tutto”, trapela dal Quirinale: il Colle ha ragione ad essere sbigottito?

Il Colle fa sua la stessa sensazione generale di sbigottimento provocata da tutte le modalità di questa crisi. Sensazione che pervade tutti coloro che, al netto dei grandi cambiamenti a cui assistiamo, sono abituati a ragionare secondo i canoni di una grammatica istituzionale e politica.

Da Castel Volturno Salvini si è detto l’uomo più paziente del mondo aprendo un dialogo col M5s: è anche quella la spia della crisi della mancata grammatica istituzionale?

In questo momento tecnicamente è tutto possibile, tranne una maggioranza Lega-Pd. Chi ha avuto modo, come nel mio caso, di seguire molte crisi di governo nella Prima e nella Seconda Repubblica, ascoltando il dibattito dell’altro giorno in Senato è rimasto stupefatto. Penso che sia stata una sensazione piuttosto diffusa, soprattutto quando Salvini ha detto di voler votare prima il taglio dei parlamentari per poi andare alle urne. Una cosa che non sta né in cielo né in terra, per mille motivi.

Il lodo Grasso e la mossa di Renzi sono l’unica risposta parlamentare possibile?

Stimolati dalla proposta di Bettini, aggiungerei. E hanno un punto di efficacia in più perché nel momento clou segnalano a tutti, opinione pubblica compresa, che Salvini non può fare ciò che gli pare, come gestire la crisi e con che tempi. Sembra una banalità ma non lo è. Un attimo dopo però dovremmo aprire una grande discussione sui passi da compiere: come si può fare, politicamente e programmaticamente, a mettere assieme il governo di lunga durata? È molto difficile. Di contro l’ipotesi di governo di scopo, come da proposta renziana, tradotta negli atti sarebbe un’autostrada elettorale per Salvini.

Pierluigi Bersani in una lettera a Repubblica invita sinistra e grillini a cambiare, senza tatticismi, per governare assieme. Fattibile?

Posizione giusta ma figlia di una realtà che purtroppo non c’è più. Il problema è sempre la fattibilità di un’azione, al di là delle singole idee. Lo scrissi già nel 2013: c’è un terreno condivisibile? Non avendola fatta allora ed essendo andate le cose in tutt’altra direzione, quell’opzione è complicata. Gran parte dell’elettorato dem è andato al M5S, non dimentichiamolo: ciò doveva aprire una riflessione e anche un’altra politica nei mesi scorsi. Riallacciare ora presupporrebbe che Pd e M5S riuscissero a cambiare pelle all’interno di un processo politico vero, oltre che fare un nuovo contratto alla rovescia. Ciò presupporrebbe partiti e leader davvero in grado di affrontare un processo simile. Ce ne sono oggi in Italia?

Quindi un problema di manico e di policies?

Non faccio solo l’esempio della formazione della volontà politica tra i grillini, dove c’è un’ampia letteratura, bensì della situazione tra i democratici. In passato passaggi del genere si risolvevano attraverso dei congressi e se non se ne fa uno quando si è al 18% allora quando? Il Pd non prevede nel suo statuto un congresso, e non credo sia stata una dimenticanza: ricordo che le primarie non sono un congresso anche se vengono usate come tali. Inoltre tra Porcellum e Rosatellum i parlamentari sono stati nominati da chi oggi non è più il segretario. E Zingaretti non ha il controllo degli attuali parlamentari. Quindi di cosa è oggi il segretario?

Al Pd manca la cerniera decisionale?

Una dialettica efficace tra gruppi parlamentari e partito c’è sempre stata nella storia, perché far passare una posizione nel gruppo parlamentare nei momenti topici era un passaggio decisivo. Ricordo in questo senso l’ultimo discorso di Aldo Modo nel febbraio del ’78 o i dibattiti tra i gruppi riformisti all’interno del Pci. Ora non c’è più nulla di tutto ciò. Per cui non capisco quali potrebbero essere i modi e le sedi in cui far nascere questo processo che è anche auspicabile, intendiamoci. Il nodo non è tanto nell’inconciliabilità dei provvedimenti come la Tav, o nelle accuse fin qui scambiate tra dem e grillini, ma nell’assenza purtroppo di una realtà che appoggi quel processo.

Conte è un problema come dice Salvini o una risorsa come pare ritenere l’asse Colle-Commissione Ue?

Direi entrambi. Salvini ha intuito che da passacarte il premier è diventato, per lui, un elemento di pericolo. Conte è espressione di un certo mondo, per sua formazione. Può essere una risorsa, come scrisse Scalfari qualche settimana fa, quindi potrà avere un ruolo. Nella sua atipicità è un osso duro, molto più duro rispetto a ciò che tutti si immaginavano.

twitter@FDepalo



×

Iscriviti alla newsletter