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L’alleanza Pd-M5S unica strada contro il populismo. Da Empoli spiega perché

Che lo scenario politico italiano attuale sia in preda a un terremoto le cui conseguenze sono ancora difficilmente prevedibili è del tutto evidente. Ma che sia necessario tentare di interpretarne le sfaccettature è altrettanto indispensabile, cercando di fermare lo sguardo su alcuni punti di snodo, dall’apertura della crisi del governo gialloverde all’ultimatum di Di Maio al Partito democratico.

Per farlo Formiche.net ha parlato con Giuliano da Empoli, editorialista, scrittore e autore di “Gli ingegneri del caos” (Marsilio). “Sembrerebbe che il populismo almeno in una sua componente sia entrato a far parte del Dna politico del nostro Paese”, la rottura del governo gialloverde e la possibile (ma non sicura) nascita del Conte 2 non è la risposta migliore alla sua avanzata, ma al momento l’unica possibile.

Ieri Di Maio ha dato, di fatto, un ultimatum al Pd sulla formazione del governo. Come interpreta questa mossa?

Uno dei paradossi di questa alleanza è che i due leader politici della formazioni contraenti, in realtà preferirebbero soluzioni diverse: Di Maio un rappacificamento con la Lega e Zingaretti probabilmente il voto. Dopodiché è chiaro che ognuno ha il suo stile e, al di là della cravatta, quello di Di Maio è sempre stato più vicino alla commedia dell’arte che all’aplomb istituzionale.

Beppe Grillo gli scorsi giorni si è inserito nella trattativa tra M5S e Pd suggerendo un “governo dei competenti”? Uno non vale più uno?

Sarebbe una torsione a 360° per loro, perché uno dei principi di base del grillismo – tra l’altro Grillo stesso diceva che non c’era nessuna ragione per cui una casalinga non dovrebbe poter fare il ministro dell’Economia – e uno degli elementi di fondo e del successo del Movimento 5 Stelle è stato scegliere un personale dirigente che fosse lo specchio dei suoi aderenti, come credeva Gianroberto Casaleggio.

A cosa si riferisce?

Casaleggio credeva molto nella Pnl, la programmazione neuro linguistica, secondo cui se vuoi influenzare qualcuno devi ricalcarne tutti i movimenti, il linguaggio, i gesti, insomma essere il più possibile simile a lui. Fare da specchio. Lui ha applicato questa teoria alla formazione della classe dirigente del Movimento 5 Stelle che è fatta di persone scelte più o meno a caso ma che avevano la capacità di riflettere un sentimento o un’opinione pubblica.

In questo ragionamento, come si inserisce il post di Grillo?

Difficile capire il perché delle parole di Grillo. C’è una componente di insofferenza rispetto ad alcuni personaggi del Movimento? Sicuramente sì, da parte sua. C’è un desiderio, dopo essere stato lasciato ai margini nel corso di questa esperienza di governo, di riacquistare un ruolo più centrale? Certo. E poi ancora, la teatralità e lo spirito del giullare che può dire una cosa e poi l’esatto opposto, contraddirsi senza problemi. Ecco, credo sia un mix di questi fattori.

M5S nasce come partito di rottura, antisistema. C’è stata una evoluzione dopo l’esperienza di governo?

Credo che una parte della classe dirigente del Movimento abbia avuto una sua evoluzione istituzionale. Ieri per esempio sul Foglio era molto ben raccontato il percorso internazionale di Conte il quale, coadiuvato da due ottimi diplomatici italiani, Piero Benassi e Maurizio Massari, si è avvicinato a istanze europee ed è entrato in qualche modo a far parte di un mondo al quale non apparteneva: Può darsi che, a diversi livelli, non sia stato un percorso solo di Conte, ma di una parte della classe dirigente grillina che ha fatto l’esperienza del governo e ha dovuto confrontarsi con realtà e competenze che gli erano sconosciute. Rimane però il problema esistenziale di un movimento che non ha contenuti, se non di essere antisistema. L’unico vero programma del Movimento 5 Stelle è il “vaffanculo”, tutto il resto può essere tranquillamente modificato, mentre la rabbia originaria è la sua ragion d’essere.

Si può far coincidere una ragione sociale di questo tipo con una prolungata esperienza di governo che lo porti, in qualche modo, a diventare establishment?

È un interrogativo non semplice. La risposta sembrerebbe essere di no, ma la realtà spesso ha più fantasia della teoria, in fondo Berlusconi è riuscito a mantenere un piglio da antiestablishment pur governando per una buona parte dell’ultimo quarto di secolo, quindi è tutto ancora da vedere.

Prima ancora del governo dei competenti proposto da Grillo, M5S ha messo in discussione alcuni dei suoi tratti distintivi, come il limite dei due mandati e le alleanze locali. Cosa rischia, abbandonando queste istanze originarie?

Rischia tutto. Rischia di sciogliersi come la neve al sole. Mi spiego: mentre l’alleanza con la Lega preservava la contrapposizione al sistema, all’establishment sia italiano che europeo e permetteva al Movimento di mantenere la sua impostazione pur perdendo molti consensi, è chiaro che alleandosi con il Pd loro aggravano la loro situazione. A questo punto devono tentare di trasformarsi in una sorta di Democrazia cristiana dell’algoritmo, cioè in un partito di sistema che si faccia interprete di esigenze popolari, coltivando anche un approccio para-clientelare con una parte del proprio elettorato. È una torsione estremamente difficile da realizzare e il rischio che il Movimento sia travolto dalle proprie contraddizioni è molto elevato.

Come vede la scelta di M5S di puntare nuovamente su Conte, che ieri ha parlato di un nuovo umanesimo?

Conte è grillino nel senso che è un contenitore vuoto. Non è portatore di un contenuto proprio, tanto è vero che può essere sia il notaio del patto fra 5 Stelle e Lega sia un domani, se questo processo si concluderà, il garante di un accordo tra Pd e M5S. Sotto questo profilo, dunque, è completamente grillino. Ma c’è un però.

Quale?

La sua natura lo porta in una direzione opposta rispetto a quella dell’algoritmo grillino. Se questo, infatti, è privo di contenuto ma tende alla rabbia e al “vaffanculo”, l’algoritmo di Conte è altrettanto vuoto, ma lo porta verso il compromesso, il potere, verso l’establishment e incarna dunque l’operazione di cui ho parlato prima, ma svuota il disegno originario del Movimento 5 Stelle e della sua parte più sovversiva.

Anche il Pd, dopo un anno di opposizione, si trova a dialogare con la forza antisitema per eccellenza. Come è possibile portare avanti questo dialogo e quali sono le maggiori criticità?

Ci sono rischi considerevoli. Il Pd alleandosi con il Movimento 5 Stelle rinuncia all’idea di poter offrire un’alternativa nitida al populismo. Sostanzialmente si arrende all’idea che in Italia il populismo sia una componente della quale non si può fare a meno, che è tendenzialmente maggioritaria e che si può tutt’al più cercare di domare facendoci i conti. Personalmente è una convinzione che non avevo un anno e mezzo fa, quando si è formato il governo Conte.

Perché?

Perché pensavo che di fronte alla formazione di un governo nazionalpopulista con connotati così estremi ci sarebbe stata una reazione sia popolare, dell’elettorato e dell’opinione pubblica, sia delle elite che avrebbe permesso poi di preparare un’alternativa. Per come sono andate le cose, devo riconoscere che io stesso oggi faccio molta fatica a crederci. Trovo, ad esempio, il tentativo di Calenda molto nobile e peraltro condivisibile ma alla luce di questo anno e mezzo sono molto più pessimista. L’esecutivo gialloverde che ha governato in modo allucinante, dal mio punto di vista, non ha provocato una vera reazione di senso contrario né nelle elite né nell’opinione pubblica. Sembrerebbe che il populismo almeno in una sua componente sia entrato a far parte del DNA politico del nostro Paese. E vorrei aggiungere una cosa.

Prego.

La politica si può concepire in due modi: come ricerca dell’ideale o, come spesso accade in Italia, come scelta del male minore. In questo caso è vero che di fronte alla marcia consolare che era stata avviata da Salvini e che pareva inarrestabile, il Conte bis, per quanto insoddisfacente è forse preferibile, meno peggio dell’alternativa.

Pensa siano queste le ragioni dietro la scelta di Renzi di aprire al dialogo con i 5 Stelle, diversamente dalla chiusura dell’anno scorso?

Parlo per me stesso e non posso certamente parlare per Renzi, ma al di là di Renzi stesso penso che quello che è accaduto nel corso dell’ultimo anno e mezzo in Italia, il modo in cui Salvini è riuscito a imporre codici e categorie di pensiero che contrastano con i valori sui quali si è fondata la nostra democrazia per tutto il dopoguerra abbiano reso indispensabile questo tentativo. Salvini è riuscito a fare una cosa abbastanza straordinaria…

Quale?

Ha fatto una cosa che era stata teorizzata prima di lui da Goebbels, il ministro della comunicazione di Hitler, cioè il trasformare una istituzione pubblica in una macchina di propaganda anche controfattuale, che mischia elementi reali a elementi completamente falsi, sfruttando l’autorità dell’istituzione per rafforzare la veemenza della propaganda. È una macchina che si è dispiegata in questo anno e mezzo con una potenza e un impatto sul dibattito pubblico italiano, sul comportamento delle persone, che è stato impressionante. Non lo credevo possibile e vederla agire in questa maniera è una cosa che a me personalmente ha fatto paura.

Lo scopo di questo tentativo di governo, allora, è una scommessa contro Salvini?

Salvini è un leader abile – nonostante le mosse delle ultime settimane -, però non ha caratteristiche sovrumane come quelle che gli sono state prestate nel corso di questo anno e mezzo. La scommessa è dire: se gli si toglie il giocattolo, che come dicevo è costituito da una macchina di propaganda che fagocita l’istituzione, la scommessa è che venendo meno il profilo istituzionale la potenza trasformativa di questa macchina sia inceppata. Vedremo, non è detto che riesca perché gli si aprono allo stesso tempo delle nuove possibilità.

Su cosa punterà, ora, Salvini?

Dal suo punto di vista l’operazione è semplicissima: l’idea della democrazia rubata, la sovranità del popolo bistrattata da un gruppo di servi di interessi di potenze straniere, attaccati alle poltrone e al potere, è un’autostrada per lui. Quello che cambia, però, è che l’iniziativa non è più sua.

E quindi?

E quindi questa sua operazione riuscirà se falliranno gli altri.


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