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Cosa lega Trump a Deutsche Bank? Quei rumors fra Washington e Berlino

Deutsche Bank ha fatto sapere pubblicamente di avere a disposizione dati fiscali (la dichiarazione dei redditi) di Donald Trump e di membri della famiglia presidenziale, nonché di società a loro ricollegabili, e s’è immediatamente aperto un giro frenetico di speculazioni perché dal 2016 – anno dell’elezioni di Trump – i democratici stanno chiedendo al presidente di rendere pubblici i suoi conti, come hanno fatto praticamente tutti i suoi predecessori.

È una prassi, scoprire le carte, ma non un obbligo, che tuttavia i dems stanno cercando di cavalcare secondo la classica retorica “se non ha niente da nascondere, perché non ci mostra le carte?”. E subito il pensiero corre a come il magnate newyorkese abbia costruito la sua ricchezza, affari, accordi e controparti, con un riflesso immediato al mastodonte Russiagate: che tipo di business ha avuto con i russi?

Trump ha avuto i suoi problemi con il denaro, e la Deutsche Bank per anni è stato l’unico istituto a fargli credito – anche perché suoi prestiti erano stati messi a garanzia pezzi del patrimonio personale. Per questo i suoi archivi sono considerati la cassaforte dei segreti di Trump, e per questo due commissioni della Camera (dunque a guida Dem) hanno convocato la banca tedesca sotto subpoena, ossia la procedura giudiziaria con cui le istituzioni del Congresso hanno il potere di obbligare alla testimonianza un teste. Il presidente ha già fatto causa per impedire il procedimento, e il fascicolo è ancora pendente in una corte di appello federale.

Per allargare il piano, la vicenda s’apre sulla politica internazionale, mettendo un ulteriore livello di complicazione sul non lineare rapporto tra Trump – circolo dei suoi pensatori strategici, e dunque per sineddoche gli Stati Uniti – e la Germania. Tutto in vista di una visita a Berlino del presidente americano arrangiata durante l’ultimo G7 di Biarritz dopo il meeting con la cancelliere Angela Merkel; incontro che Trump ha chiamato “very produttive” sebbene persistano problematiche dovute al commercio, agli investimenti sulla difesa, e più in generale – secondo una dottrina americana pre-trumpiana – sul contrasto del ruolo tedesco di egemonizzazione in Europa.

Martedì, in tribunale, Deutsche Bank ha confermato di avere almeno alcune delle dichiarazioni fiscali richieste dalle commissioni congressuali. E non è poco, anche se non sono state (per ora) rivelate quali la banca possiede, ma alcuni funzionari attuali ed ex hanno detto al New York Times che l’istituto ha archiviato le prime pagine delle returns di Trump per diversi anni. Ma i democratici pensano alla campagna presidenziale del 2020, e chiedono molto di più: ci sono sei pagine di richieste compilate a spaziatura singola, i punti di chiarimento riguardano in pratica tutta la documentazione che la banca tedesca ha a disposizione (in particolare quelli dopo il 2011, sebbene il rapporto duri fin dal 1998).

Quanto è grande la fortuna di Trump? È un elemento di interesse politico? Forse sì, perché parte del consenso che il presidente s’è costruito attorno ruota sul successo imprenditoriale – un bravo businessman non può non essere un bravo presidente, dicono i fan – che però, dati alla mano (e stando a certi rumors), potrebbe essere molto più limitato. Dove e con chi il signor Trump, le sue società e la sua famiglia hanno guadagnato denaro? Altro elemento interessante, che rimanda agli affari in Russia e potenziali collegamenti con la corsa politica (anche solo come nodo di ricatto).

Citato, tra le richieste della Camera, anche materiale riguardante Jared Kushner, genero di Trump, marito di Ivanka, potente consigliere della Casa Bianca, businessman newyorkese di buona famiglia, motore di alcune delle relazioni internazionali più interessanti dell’amministrazione Trump (vedi il Golfo).

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