Per orientarsi nell’intricata vicenda politica nazionale di questi giorni è necessario dare una risposta il più possibile univoca alla seguente domanda: perché ora? Perché proprio adesso Salvini ha deciso di staccare la spina? Senza una chiave di lettura di questa ragione, è difficile compiere un’analisi affidabile della situazione ed immaginare ipotesi per il prossimo futuro.
Fra le varie motivazioni che sicuramente hanno contribuito a questo esito (fra tutte spicca la Legge Fraccaro per la riduzione dei parlamentari in discussione il 9 settembre), credo che quella da mettere in evidenza sia la prossima sessione per la presentazione della Legge di Bilancio, da metà settembre. Nessuno aveva la più pallida idea di come disinnescare le odiose clausole di salvaguardia, rifinanziare ‘quota 100’ e ‘reddito di cittadinanza’ e possibilmente portare avanti investimenti infrastrutturali (M5S) e flat (o semi-flat, pluri-flat, quasi-flat ma certamente non-flat) tax (Lega). Insomma, 35-50 miliardi da trovare subito…
Lega e M5S avevano quindi interesse a dividersi oggi. Il fatto che sia stata la Lega a dare il segnale ci dice semplicemente che, come sappiamo da tempo, i consensi elettorali sono a lei favorevoli, e quindi non potevano che essere loro a sancire lo strappo.
Se la ragione vera del divorzio è la manovra finanziaria, tornare al voto per avere un governo entro fine anno che realizzi la manovra non ha alcun senso per la Lega, soprattutto se Salvini è davvero convinto di vincere le elezioni; perché si troverebbe a gestire in prima persona una manovra che non sa come realizzare. Se non naturalmente in maniera eversiva, ossia con la rottura aperta del governo dalla UE (e quindi con l’uscita dall’euro). Uno scenario plausibile (e reso ancora più plausibile dalle esternazioni di parlamentari della Lega negli ultimi anni), ma così foriero di rischi (anche per l’elettorato leghista), che dubitiamo questa sia l’idea di Salvini.
Se quella è la ragione del divorzio, Salvini ha quindi interesse a far fare la manovra (inevitabilmente ‘lacrime e sangue’) a qualcun altro per poi incassare ulteriori consensi a bocce ferme, ossia in primavera. Un governo istituzionale che, come immaginato dal M5S e da Renzi, realizzi pochi punti (tra i quali la riduzione dei parlamentari) è esattamente quello in cui la Lega spera.
L’alternativa si riduce quindi ad: a) andare subito alle elezioni, sperando che gl’italiani non consegnino il paese interamente a Salvini (che rischia di poter fare a meno dell’accordo con Berlusconi: una bella tentazione, ma che non gli conviene proprio perché lo esporrebbe troppo a misure drastiche di cui sarebbe poi l’unico responsabile), ma costringendolo così ad esporsi sulla manovra e sulle scelte europee del paese; b) creare un governo che duri fino a fine legislatura, in modo da realizzare un programma d’interventi politici, istituzionali, sociali ed economici che stabilizzi e rimetta in moto la situazione economica del paese, ci riavvicini all’Unione Europea, ci consenta di partecipare credibilmente ai suoi tavoli negoziali su partite essenziali per la nostra sopravvivenza (riforma di Dublino, riforma della governance economica, composizione e destinazione del bilancio europeo, etc), e che disinneschi gli appetiti egemonici di Salvini su nomine nelle grandi aziende e sulla Presidenza della Repubblica. Un’ipotesi, questa seconda, che presuppone tuttavia una visione condivisa dei due PD (quello di Zingaretti, che controlla il partito, e quello di Renzi, che controlla la metà dei parlamentari), del M5S e possibilmente di Berlusconi (per non affidarsi a maggioranze risicate sempre a rischio di ribaltoni).
Insomma, i cittadini italiani si trovano nella stessa situazione del celebre ‘dilemma del prigioniero’, un dilemma scomodo inventato dal matematico canadese Albert Tucker negli anni Cinquanta: una situazione in cui qualsiasi alternativa che abbiamo di fronte è perdente. Per noi cittadini, naturalmente.
In sostanza, Berlusconi è l’elemento di moderazione cruciale per sperare che un governo a trazione leghista non degeneri (sempre che Salvini sia disponibile ad un’alleanza elettorale con l’intero centrodestra). Così come è essenziale per costruire un’alternativa di governo istituzionale che possa durare nel tempo. Insomma, Berlusconi è l’unico italiano in grado di sconfiggere il dilemma del prigioniero.