Elezioni sì, elezioni no. Le speranze di Matteo Salvini per un ritorno anticipato alle urne sono appese a un filo. I sondaggi danno al centrodestra a trazione leghista ampie chances di vittoria, ma in Parlamento l’inedito asse Pd-M5S è pronto ad allungare la vita alla legislatura. I “responsabili” guidati da Matteo Renzi dicono di voler salvare il Paese dall’aumento certo delle tasse e da un inevitabile scontro con Bruxelles sui conti che aprirebbe una procedura d’infrazione. “Non è detto che debba finire così – spiega invece il presidente di Eurasia Group Ian Bremmer a Formiche.net. Il politologo boccia con un 5 l’esperienza di governo gialloverde, ma è molto meno catastrofista sull’ipotesi di un voto a ottobre e di una vittoria leghista. Con Bruxelles non ci sarebbe nessuno scontro frontale, dice lui. E gli Stati Uniti di Donald Trump avrebbero a Roma un interlocutore più affidabile.
Bremmer, i pronostici sono sempre meno favorevoli ma Salvini sembra convinto di poter andare al voto anticipato e vincere le elezioni. Che impatto avrebbe sull’Eurozona un governo di centrodestra a trazione leghista?
Non ne farei una catastrofe. L’instabilità finanziaria rimane un problema cronico dell’Eurozona a prescindere dal voto anticipato in Italia. La crescita sta frenando e il contesto internazionale non aiuta. Se Salvini riuscisse a formare un governo continuerebbe a evitare lo scontro con Bruxelles, perché il suo primo interesse è mantenere il supporto del mondo industriale e della comunità imprenditoriale. L’assenza del Movimento Cinque Stelle e del loro programma di spesa sociale dal governo renderebbe più semplice abbassare la pressione fiscale.
Che dire invece dei rapporti con l’estero? Washington vedrebbe con favore una vittoria di Salvini?
Trump si troverebbe più a suo agio con un leader come Salvini, proprio come con il presidente del Brasile Jair Bolsonaro e quello dell’Ungheria Viktor Orban. Il loro scetticismo verso le organizzazioni multilaterali e il duro approccio all’immigrazione li rendono perfetti per la sua sensibilità politica. Se un punto di frizione ci può essere fra Salvini e Trump, è il braccio di ferro fra Stati Uniti e Ue sul commercio.
Anche con Boris Johnson potrebbe nascere un asse pro-Brexit?
Ne dubito. Johnson non riceverà alcun aiuto particolare dagli alleati europei, poco importa se vi sia al governo una o più figure a lui congeniali. Come Theresa May, anche lui sta realizzando che le vere sfide poste dalla Brexit sono di politica interna.
C’è chi sostiene che Salvini abbia interrotto l’esperienza di governo convinto di avere il sostegno americano. È così?
Una cosa è certa: un governo guidato dalla Lega sarebbe più filoamericano dell’attuale coalizione. È vero, Salvini ha contatti frequenti con Mosca, ma per compensarli (e per compensare l’adesione italiana alla Belt and Road Initiative) ha iniziato a far buon viso a cattivo gioco con Washington per mettere le mani avanti e costruirsi la reputazione di partner affidabile.
Perché?
La Lega vuole costruire un canale personale con Trump perché crede di ottenere così una leva nelle trattative con Bruxelles. Ma non è così semplice. Anche perché fra Roma e Washington rimangono tante questioni in sospeso.
Come la protezione della rete 5G. Proprio la Lega aveva caldeggiato l’approvazione di un nuovo decreto salvo poi abbandonarlo alla marea della crisi di governo.
Il dibattito sul 5G continuerà a creare tensioni nel più ampio contesto delle relazioni fra Washington e Bruxelles, dubito che possa divenire il perno dei rapporti bilaterali con l’Italia. Ci sono tanti altri Paesi membri che non si sono allineati con gli americani sul fronte tecnologico con la Cina. Il neo-premier britannico Boris Johnson, per esempio, è stato particolarmente aperturista nei confronti del Dragone.
Rimane il caso del programma F-35, che vede l’Italia in ritardo su tutte le scadenze.
I Cinque Stelle sono sempre stati i primi a opporsi al programma, se Salvini riuscisse a creare un governo senza di loro il problema verrebbe meno. Il leghista non lo cancellerebbe, ma i vincoli di spesa potrebbero comunque causare altri ritardi.
L’esperienza del governo Conte sta per concludersi. Che voto dare a quest’anno dei gialloverdi a palazzo Chigi?
Cinque. Il governo si è decentemente tenuto in equilibrio fra Stati Uniti e Cina. Ha parzialmente risolto il problema dell’immigrazione, aprendo a una normalizzazione dei rapporti con gli altri Paesi interessati dal fenomeno.
Cosa è andato storto?
Se il governo (e soprattutto Salvini) ha coltivato i rapporti con l’Europa dell’Est (Polonia e Ungheria), Russia, Cina e Stati Uniti, lo ha fatto a spese delle relazioni con i suoi storici alleati in Ue come Francia, Germania e la stessa Commissione europea, senza trarne alcun guadagno.
Un esempio?
La partita delle nomine Ue. L’Italia è passata da averne tre (Bce, Parlamento Ue, Alto rappresentante) a una sola (Parlamento Ue), peraltro ricoperta da un politico d’opposizione.
La politica estera è stata il punto debole?
Direi piuttosto che la politica economica domestica e le sue incongruenze si sono riversate sulla politica estera mettendo l’Italia in una posizione di debolezza vis-à-vis con l’Ue. L’unico tentativo di incidere c’è stato in Libia, ma i risultati hanno deluso le aspettative. Il governo non ha avuto altra scelta che difendere formalmente l’esecutivo di Tripoli e le strutture di Eni presenti in quell’area.