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Il ritorno (sbiadito) dei gilet gialli. Tramonto di un movimento eterogeneo?

Ne avevamo perso le tracce e perfino il ricordo stava sbiadendo. Dov’erano finiti i gilet jaunes? L’ultima, fugace e sostanzialmente inutile apparizione l’avevano fatta, dopo una stasi coincidente con la stagione elettorale, il 29 giugno scorso. Poi il silenzio. Le circa diecimila persone che avevano manifestato in alcune città francesi per la trentatreesima volta dal novembre dello scorso anno, oggi se,brano essersi dissolte, probabilmente spiaggiandosi nelle località balneari (a occhio e croce non ci sembrano amanti della montagna). E di loro neppure i giornali che ne hanno seguito l’inutile percorso, posto che non un solo risultato hanno ottenuto, non ritengono di occuparsene.

Complice il caldo che ha investito anche la Francia, hanno pensato bene di ritirarsi in buon ordine. Del resto il loro nemico principale, Emmanuel Macron, li aveva già dati per dispersi, politicamente finiti anche a fronte della figuraccia rimediata alle europee: divisi in tre liste si sono presentati raccogliendo complessivamente poco più dell’1%.

Il 10 agosto a Bordeaux, a Tolosa e Parigi, sparuti gruppi di manifestanti hanno comunque annunciato nuove azioni e di protesta e dunque la sostanziale ripresa della contestazione sistematica al governo dopo le vacanze. Insomma, anche la rivoluzione di questi tempi va in ferie. E perché proprio i gilet jaunes si dovrebbero negare ciò che spetta a tutti i lavoratori, soprattutto a coloro che all’attività ordinaria aggiungono roventi fine settimana devastando ciò che incontrano sul loro percorso nel nome di una rivoluzione della quale, oggettivamente, credevamo di aver capito tutto all’inizio, ma poi, mano mano, le idee ci si sono confuse.

Colpa nostra se la pregnante filosofia dei gilet jaunes è risultata troppo ostica per tentare un approccio che valesse a consentirci la decifrazione. Comunque, tre giorni fa a Bordeaux i manifestanti sono riusciti a far parlare di loro: un centinaio si sono riuniti in piazza della Borsa scandendo i soliti slogan, mentre a Tolosa circa in 250 hanno dato vita ad una protesta nel centro città provocando la polizia che ha sparato gas lacrimogeni, ferendo leggermente due persone.

Da quel che si capisce, il movimento sembra se non finito quantomeno agonizzante. E non è difficile comprenderne le ragioni, esposte per tempo su Formiche.net: la scarsa organizzazione, l’antagonismo nel movimento tra varie “anime”, l’eterogeneità dello stesso, l’assenza di una leadership unificante e la violenza che non faceva parte dei primi manifestanti che scesero in piazza per protestare contro l’aumento del carburante soprattutto per i mezzi agricoli. Il movimento, nel novembre scorso, era un concentrato di rivendicazioni di buon senso che nella prima fase aggregò tanta parte della classe media soprattutto in provincia trasformandosi parzialmente in movimento contro le tasse, un po’ poujadista, un po’ gollista, un po’ “alternativo”, ma sostanzialmente riconoscibile dal tratto moderato della protesta stessa. Nel suo romanzo Serotonina, Michel Houellebecq ne ha fatto un ritratto appropriato.

Poi le infiltrazioni politiche e la strumentalizzazione degli anarco-comunisti (black bloc compresi) ha trasformato i gilet jaunes in qualcosa d’altro. Se è vero che, come ha scritto su Politico John Lichfield, Macron considera i gilet jaunes appartenenti al passato, è altrettanto vero che sarebbe ingenuo considerare esaurita la fase del malessere francese da cui sono nati. È vero che il movimento dimostra scarsa vitalità, ma sono tutt’altro che risolti i problemi che hanno motivato il ceto medio ed in particolare gli agricoltori ad uscire allo scoperto.

Tra aumenti delle tasse e disagio sociale, i francesi sono scontenti. Se i partiti non riescono ad interpretare ciò che nel profondo della società si muove, assisteremo ben presto a qualcosa che ha molto di simile ai gilet jaunes, carica di violenza compresa. Se è difficile che il movimento riesca a strutturarsi come una forza politica, è vero anche che il radicalismo cova sotto la cenere e da esso può venir fuori qualsiasi cosa.

L’autunno, come il primo ministro Eduard Philippe sa bene, non sarà facile. E nelle pieghe delle crisi francese può venir fuori di tutto. Perfino un rinnovato impulso alla contestazione globale che le politiche europee di austerità legittimeranno in qualche modo gli occhi di chi apertamente contesta l’iperliberismo che si coltiva all’Eliseo.


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