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Giorgetti avvisa il Pd: le manovre di Palazzo alimentano la Piazza. Ecco cosa ha detto

Scuro in volto ma nient’affatto intimorito dalla prospettiva di andare all’opposizione della quale, anzi, è sembrato muoversi da capo. Oggi al Meeting di Rimini è stato il giorno di Giancarlo Giorgetti che tra un dibattito e l’altro non ha mancato di far sentire la sua voce sulla crisi di governo e sui tempi supplementari che Sergio Mattarella ha concesso alle forze politiche per provare a trovare un accordo in grado di salvare la legislatura (qui il nostro approfondimento).

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio è sembrato ritenere probabile la nascita del governo giallorosso, anche se in conferenza stampa è parso non escludere del tutto l’ipotesi di una riedizione della maggioranza gialloverde. “Vado all’opposizione con grande fierezza, coerente delle cose che penso“, ha affermato Giorgetti durante il dibattito dell’Intergruppo parlamentare sulla sussidiarietà. Salvo poi sottolineare, di fronte ai giornalisti, la corrispondenza tra la maggioranza dei dieci punti proposti ieri da Luigi Di Maio al Quirinale e il contenuto del contratto di governo tra Lega e MoVimento 5 Stelle. Forse un modo per mettere un po’ di zizzania nelle trattative in corso a Roma tra pentastellati e dem ma anche per non schierarsi apertamente contro la posizione di Matteo Salvini che pure ieri al Quirinale ha provato a riaprire ai cinquestelle: “Nella Lega abbiamo un capo che decide, che sente tutti ma che poi si assume la responsabilità. Probabilmente Pd e M5s hanno così difficoltà a mettersi d’accordo perché hanno troppi capi e capetti“.

Giorgetti ha anche parlato del metodo di governo che è mancato in questi mesi alla maggioranza, quasi a lasciare intendere che con un’organizzazione diversa le cose potrebbero tornare a funzionare. Ma la via è stretta, è strettissima. Lo stesso sottosegretario è parso, in fondo, non crederci. Anzi, ha dato l’impressione di considerare probabile la nascita del nuovo governo. “Non c’è niente di male a stare all’opposizione“, ha ribadito ancora in conferenza, come se si stesse rivolgendo in primis al leader del suo partito e a tutto il mondo leghista che tra qualche giorno potrebbe ritrovarsi fuori dall’esecutivo. In questo senso non è un caso che abbia comunque evidenziato alcuni rilevantissimi punti di contrasto con i cinquestelle, dal no secco pronunciato contro il salario minimo al mea culpa sulle politiche per la famiglia, a proposito delle quali ha riconosciuto come il governo non abbia fatto abbastanza nei suoi quattordici mesi di vita. Senza dimenticare la battaglia sull’autonomia sulla quale – ha sottolineato con una punta di rammarico – “il Consiglio dei Ministri non è riuscito a partorire alcun tipo di proposta“. E a chi gli ha fatto notare che il ritorno all’opposizione potrebbe voler dire per la Lega un crollo nei voti al Sud, Giorgetti ha fatto capire di ritenere necessario reciedere la spirale tra consenso e potere che così spesso ha finito con il prevalere nel nostro Mezzogiorno: “La soluzione è più autonomia che significa più responsabilità, anche e soprattutto nell’interesse del Sud“.

Un governo, quello che eventualmente nascerà tra pentastellati e Pd, destinato però, secondo Giorgetti, a non avere affatto vita semplice: “Quattordici mesi fa era diverso, sia noi che i cinquestelle eravamo forze di opposizione. Il movimento è sempre stato alternativo al Partito democratico. Il Palazzo ha perso contatto con la realtà, è diventato troppo asocial, mentre la piazza troppo social“. Un cortocircuito – ha ragionato – dal quale appare difficile uscire, perché la democrazia parlamentare per funzionare ha bisogno di partiti forti, in assenza dei quali è inevitabile che tutto finisca per ricadere sulle spalle dei leader. E se a questo mix aggiungiamo pure operazioni di palazzo, ecco che si rischia di gonfiare di nuovo le piazze. Anche perché, ha rilevato ancora Giorgetti, “il Parlamento non può essere un luogo dove la casse politica cerca di perpetuarsi a qualsiasi costo“. Da qui l’avvertimento o, se vogliamo, la profezia che ha lanciato in chiusura di dibattito tra gli applausi del pubblico: “La gente questa manovra la vede come fine a sé stessa. La democrazia ha sempre bisogno di legittimazione popolare, solo con quella parlamentare diventa molto complicato“. Prima di concedersi un’ultima battuta di fronte ai giornalisti: “Se l’esecutivo tra Pd e M5s dovesse nascere davvero, finalmente il Paese un’opposizione seria visto che finora non c’è stata. Opposizione dura contro un governo che partirebbe da Casini e arriverebbe a Boldrini e che sarebbe staccato dalla realtà”.

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