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Il tempo della resistenza e il caso dell’Istituto GPII. Se Francesco non fa Melina

Novità in Vaticano, sebbene le più importanti non siano ufficiali. Sembrerebbe infatti che, stando a quanto scrivono alcuni siti informati, il Papa emerito riceva in “udienza privata”. Questo è emerso da quanto scritto da alcuni siti e se fosse vero risulterebbe molto importante, un’espressione del genere infatti comporterebbe anche le udienze pubbliche.

Gli equivoci sono di casa in questo campo da quando, un po’ frettolosamente per via della non tradizionalità della scelta di Benedetto XVI, ci si è posti il problema di come chiamarlo. “Papa emerito” è apparsa una scelta logica, ma perché la cultura curiale aveva di fatto cancellato la figura del “vescovo di Roma”. È il vescovo di Roma che in quanto tale è successore di Pietro e quindi Papa, termine che viene dal greco e vuol dire “padre”. Dunque sarebbe stato più logico ed afferente alla realtà scegliere il titolo di “vescovo emerito di Roma”, ma così non è stato. E da allora il timore che alcuni intendano giocare il più classico dei giochi, e cioè l’uso strumentale dell’uno contro l’altro, lo facciano ricorrendo anche a sistemi comunicativi un po’ delicati, come questo, può essere legittimo.

Il termine “udienza” infatti non era mai stato usato al riguardo dei numerosi colloqui che ovviamente Benedetto XVI ha avuto nel corso di questi anni. Se non fosse stato usato neanche nel caso del suo colloquio con il professor Melina, sollevato dalle sue incombenze all’Istituto Giovanni Paolo II, cosa sarebbe cambiato? Visto il significato che qualcuno ha voluto attribuire al colloquio, e cioè una presunta vicinanza di Benedetto non al professore ma alle sue posizioni nelle correnti dispute con la Santa Sede, la risposta potrebbe essere chiara.

Accanto a questa asserita novità, quella delle “udienze private”, emerge un’altra novità. Infatti le riforme volute dalla Santa Sede all’Istituto Giovanni Paolo II, specificamente attento alle questioni della famiglia, che sono sfociate in un nuovo statuto, derivano dalle novità emerse nella Chiesa cattolica dal magistero di Francesco, attraverso due sinodi della Chiesa universale, scelte approvate dai due terzi dei padri sinodali. Eppure il professor Melina ed altri hanno scritto in replica ad Avvenire che li accusava di “minimizzare la portata della svolta voluta da Francesco” sostenendo che questa è un’espressione vaga; “l’argomento già appartiene al naturale dibattito in ambito teologico e pastorale, nel quale l’ermeneutica del rinnovamento nella continuità della Tradizione è criterio, mai condannato e mai ritrattato dal Magistero”.

Sembra un mondo affascinante, un mondo che non conosce scomuniche o condanne. Tanti teologi potrebbero dire la loro. Ma il punto non è questo. Il punto è che Avvenire ci svela in replica che secondo il professor Melina l’esortazione apostolica di papa Francesco vada interpretata alla luce di un’enciclica di Giovanni Paolo II, documento di rango superiore. E l’ermeneutica? Il dibattito? E i due sinodi della Chiesa universale? Le tante votazioni? Si può presumere che i padri sinodali fossero al corrente di tali questioni. Ma perché un’enciclica di natura dottrinale sarebbe di natura superiore a un’esortazione apostolica di natura pastorale? Se non può esserci pastoralità senza dottrina può forse esserci dottrina senza pastoralità? In altre parole: la legge vale più dell’uomo?

Il punto davvero intrigante però è un altro: dopo aver parlato di ermeneutica del testo, gli autori affermano che Amoris Laetitia esclude la possibilità di dare la comunione ai divorziati risposati, eppure già in Evangelii Gaudium papa Francesco ha chiarito che i sacramenti non sono un premio per i perfetti, ma un alimento per i deboli. Viene così il dubbio che l’ermeneutica cara al professor Melina è quella dei propri convincimenti più che quella del testo. Trovare convalida del nuovo nel pregresso vuol dire che una novità esiste solo se coerente con quanto si affermava in precedenza. Viene un dubbio: prima di Giovanni Paolo II i divorziati risposati erano definiti “pubblici infami”. Poi sono stati riconosciuti membri a tutti gli effetti della comunione spirituale della Chiesa. Non sembrano punti coerenti, tanto è vero che il Codice di diritto canonico è stato modificato: che si fa? Si cancella anche Giovanni Paolo II? E Pio XII? Lui scrisse un’enciclica per affermare la superiorità della vita in castità rispetto a quella matrimoniale: visto che questa visione è stata nettamente contraddetta da Giovanni Paolo II in un discorso pubblico, cosa insegnerebbero all’Istituto Giovanni Paolo II?
L’ermeneutica di un testo va certamente trovata nelle ragioni del tempo che sempre ci aiuta a meglio capire ciò che prima si capiva male, o in parte, più che in quelle della propria profonda convinzione, pur rispettando ogni convinzione.

La questione su chi conti di più, l’uomo in funzione del sabato o il sabato in funzione dell’uomo, rimane quella centrale, tanti anni dopo, nonostante che l’ermeneutica di quanto affermato da Gesù al riguardo non richieda enormi sforzi. E proprio in queste ore però i fautori del sabato dovrebbero convenire con i fautori dell’uomo sulla gravità del decreto Sicurezza bis, che antepone una fonte legislativa nazionale rispetto a quella internazionale, il codice del mare e la stessa dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ad avviso di molti uomini anche di Chiesa. Eppure questa nettezza sulla priorità di una fonte superiore rispetto a quella inferiore non si vede. Forse è anche per questo che si parla di tempi emergenziali soprattutto per la Chiesa. E cogliendo il cuore del problema “umano” il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, ha twittato: “Questo è tempo di resistenza, umana, civile e religiosa”.

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