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Golden power, necessaria una soluzione europea. La versione di Confindustria

Nei confronti del delicato tema del decreto-legge che rafforza il golden power anche per le reti 5G intervenendo su alcune misure procedurali e che ora sembra avviato a decadere senza essere convertito, Confindustria ha per il momento un approccio prudente. “Aspettiamo di vedere se e quale sarà il punto di caduta su questo specifico provvedimento”, spiega l’avvocato Antonio Matonti, direttore dell’Area Affari Legislativi di viale dell’Astronomia.

Tuttavia, evidenzia il legale in una conversazione con Formiche.net, “l’estensione del golden power al 5G è un effetto quasi naturale di un percorso normativo che prova a tenere insieme la difesa degli asset strategici del Paese e il rispetto di alcuni principi di fondo del libero mercato”. Ed è auspicabile che anche in Ue “si discuta di come difendere alcuni settori ad altissima intensità tecnologica”, perché “quel che manca, tanto più in un contesto globale come quello di oggi, è una difesa comune e coordinata nei confronti di una competizione spesso asimmetrica, perché vede opposti player nazionali a colossi finanziati, invece, da governi di Paesi terzi”.

Avvocato Matonti, il governo appare diviso sull’approvazione di un decreto-legge che interviene su alcuni aspetti tecnici del Golden Power per il 5G ma non solo – misure di controllo, potere di veto, obblighi di notifica e istruttoria. Questo provvedimento non è ancora divenuto legge e la sua mancata conversione, che ora sembra quasi certa, rischia di creare un vuoto normativo, evidenziato su questa testata anche da giuristi. Confindustria come valuta questa prospettiva?

Il nostro è un approccio prudente: aspettiamo di vedere se e quale sarà il punto di caduta su questo specifico provvedimento, che interviene perlopiù su aspetti procedurali. Nel frattempo, però, posso dire che l’estensione del Golden power al 5G è un effetto quasi naturale di un percorso normativo che prova a tenere insieme la difesa degli asset strategici del Paese e il rispetto di alcuni principi di fondo del libero mercato.

Dunque auspicate che il golden power venga ulteriormente rafforzato?

La nostra valutazione sulla disciplina del Golden power è nel complesso favorevole. Si tratta di un provvedimento a lungo oggetto di confronto con l’Europa e che ha fatto segnare positivi passi in avanti rispetto alla vecchia golden share. Rispetto a quest’ultima, infatti, il golden power rappresenta un’evoluzione più rispettosa delle dinamiche di mercato, con un’impostazione più restrittiva rispetto ai settori della difesa e sicurezza nazionale e meno intrusiva, invece, rispetto al più ampio settore delle reti. Anzi, riteniamo che la nostra esperienza dovrebbe costituire la base di una normativa armonizzata a livello europeo, tema di cui pure si discute.

A che punto è il dibattito in Ue sul tema della difesa degli asset strategici?

Già oggi il golden power riguarda imprese extra-europee e non potrebbe essere altrimenti, visto che siamo in un mercato unico. Quel che manca, tanto più in un contesto globale come quello di oggi, è una difesa comune e coordinata nei confronti di una competizione spesso asimmetrica, perché vede opposti player nazionali a colossi finanziati, invece, da governi di Paesi terzi. Ciò rischia di alterare le dinamiche di mercato e solo un approccio comune può scongiurarlo. Al momento, l’Ue ha approvato un regolamento sullo screening degli investimenti di Paesi terzi che è piuttosto blando, perché si limita a uno scambio di informazioni tra Stati membri e Commissione. Servirebbe fare di più.

Bisognerebbe fare del 5G un tema europeo?

Il tema è più ampio: ogni Paese ha le sue tradizioni giuridiche, ma è auspicabile che in Ue si discuta di come difendere alcuni settori ad altissima intensità tecnologica. Un tema che riguarda le reti 5G, certo, ma non solo. In Germania, ad esempio, si è verificato un caso esemplare che ha visto protagonista Kuka, un produttore mondiale di robot industriali. L’azienda non ricadeva nel perimetro dei settori nevralgici per la sicurezza nazionale, eppure aveva un altissimo valore strategico per Berlino. La possibilità di disporre, in casi come questi, di strumenti preventivi di controllo può rappresentare un utile fattore di riequilibrio, specie quando chi compra è in grado di mettere sul piatto cifre fuori mercato per qualunque impresa europea. Al contempo, ci sono altri valori da considerare, come la tutela della proprietà privata su tutti, ed è alto il rischio di elusioni in presenza di regole non coordinate tra Paesi europei. Perciò servirebbero regole chiare e, possibilmente, armonizzate. Su questo, l’Italia può rappresentare un buon paradigma di riferimento.



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