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Dal golden power alla Libia. A lezione di politica estera da Franco Frattini

“Si assiste ad un disimpegno italiano dagli scacchieri più delicati della politica estera”, ammette a Formiche.net Franco Frattini, già ministro degli esteri e Commissario europeo che, alla luce dell’appello partito da queste colonne al governo per un cambio di passo, analizza i casi più spinosi come Iran, Cina e Libia.

Con questa politica estera l’Italia rischia di andare incontro ad una irrilevanza internazionale?

La tesi è sempre la stessa: bisogna schierarsi e non rimanere in questo limbo tra est e ovest. Il caso iraniano non pone alcun dubbio, dal mio punto di vista. Dobbiamo rinsaldare il legame occidentale.

Sulla crisi a Hormuz la Farnesina avrebbe dovuto essere più decisa?

L’Iran ha ormai annunciato di essere pronto a superare il 4% di arricchimento dell’uranio: siamo vicini ad un punto di non ritorno ed è evidente che una non-posizione pone un probema all’Italia.

Anche perché le sanzioni Usa hanno già dato una direzione di marcia…

Le aziende che fanno affari con l’Iran sono esposte alle controsanzioni americane, per cui non c’è nemmeno più quella preoccupazione iniziale del semestre di grazia, quando Donald Trump aveva detto che Roma per sei mesi avrebbe potuto continuare i suoi rapporti. Oggi comunque non c’è più nulla da salvare, solo da unirsi ad una voce, quella occidentale, che deve essere sempre più grossa per dire all’Iran “fermatevi”.

Uranio e Hormuz: cosa c’è oltre le minacce?

Oltre al profilo dell’armamento nucleare si assiste anche ad una destabilizzazione geologistica, perché da lì transita buona parte del traffico petrolifero. Vuol dire che Teheran impone un rafforzamento della coalizione occidentale. Gli inglesi hanno già inviato navi da guerra.

L’Italia dovrebbe farlo?

Francamente vedo un disimpegno italiano dagli scacchieri più delicati della politica estera, quindi suppongo che una decisione del genere non siano in grado di prenderla. Ma almeno una forte sintonia con le azioni occidentali sarebbe indispensabile, malgrado la politica estera non sia una priorità per Palazzo Chigi.

Sul caso 5G e sulla Via della Seta, il dialogo tra Roma e Pechino rischia di essere uno sgambetto a Washington?

Lo sarebbe se non ci fosse immediatamente un rafforzamento della golden share nella normativa italiana, che permettesse al governo di mettere un veto su qualsiasi technology sharing: ovvero quando si va oltre un punto pericoloso, credo che la normativa, peraltro già annunciata dal ministro Salvini, sia indispensabile altrimenti saremmo a rischio. Vorrei precisare che di molte cose siamo a conoscenza, di altre no: ciò che non moltissimi sanno è che il maggior produttore al mondo di cavi sottomarini è la Cina. Ma in quei cavi passa di tutto, comprese le tecnologie. Per cui impadronirsi delle reti e delle infrastrutture di reti vuol dire accedere alla conoscenza ed attingervi.

Da queste colonne il prof. Vittorio Emanuele Parsi ha detto che la Spagna ci ha superati nella euroscala valoriale, dopo Germania e Francia. È così?

La Spagna è riuscita a piazzare due colpi importanti. Il primo riguarda la vittoria di Sanchez, che però si è già rivelata un fuoco di paglia perché probabilmente non farà l’accordo per il governo e si tornerà per l’ennesima volta al voto. Ma in questo periodo di luna di miele, Sanchez ha piazzato il commissario Josep Borrell ad Alto rappresentante della politica estera. Ciò non significa che da domani avremo finalmente una politica estera europea, ma sicuramente avremo un personaggio di gran lunga superiore, per autorevolezza e caratura, rispetto all’attuale.

Una sua vecchia conoscenza, tra l’altro…

Da vicepresidente della Commissione lo ricordo quando era al vertice del Parlamento: quando tornai a fare il ministro, gli offrii di dirigere per quattro anni l’Istituto di Studi Europei di Fiesole e lui fu direttore su mia proposta. Ritenevo che sui temi di politica estera la sapesse più lunga, in Europa. Borrell tra l’altro non dimenticherà mai di essere spagnolo.

Il doppio colpo della Spagna ha distanziato l’Italia. Quale una possibile contromossa?

Che gli auspici del premier Conte trovino risposta, come una posizione di commissario Ue di alto profilo per un portafoglio come la Concorrenza. Sarebbe il miglior esempio, più il ruolo di vicepresidente. E poi giocare la carta naturale dell’Italia: la Libia.

Ad oggi scoperta?

Noi stiamo lasciando la Libia nelle mani degli arabi che si combattono tra loro per procura: gli uni usano Haftar e gli altri Serraj. Dietro ci sono egiziani, emiratini e sauditi, contro qatarini e turchi. I musulmani giocano sulla Libia e noi, che avremmo dovuto essere il paese che promuove la riconciliazione libica, siamo piuttosto in difficoltà anche perché gli Usa si sono disimpegnati.

Cosa dovrebbe fare Roma?

Dovrebbe riprendere quei dossier su cui l’Italia sembrava avere in mano ancora una carta importante, ovvero Libia e Medio Oriente. Roma è l’unico governo che parla allo stesso modo, ovvero con amicizia, con Arabi e Israeliani. Inoltre su altre latitudini lo fa anche con Washington e Mosca. E allora perché non sfruttare questo ruolo straordinario? Credo che bisognerebbe agire, ma purtroppo vedo che siamo in una fase complessa per la maggioranza e quindi la politica estera scende dalla scala delle priorità.

Quale posto crede potrà occupare l’Italia nell’Alleanza Atlantica di domani?

Rischia di occupare un ruolo necessariamente limitato per due motivi. Uno dei partiti al governo, il M5S considera la Nato e l’Alleanza Atlantica come un qualcosa da tollerare. Inoltre rimanendo cosi indietro sul budget per la difesa, non solo siamo largamente sotto il 3% ma abbiamo un trend di lentissimo avvicinamento a quella soglia. Ciò evidentemente ci procurerà dagli americani una pacca sulla spalla, e solo quella, ma poi loro guarderanno a chi paga di più. Ti impegni di meno e conti di meno, è l’assunto non di oggi nell’Alleanza.

In Iraq e in Afhanistan avevamo però un ruolo diverso.

Perché avevamo impiegato 7mila uomini, tra cui le truppe di eccellenza italiane impegnate nell’addestramento delle forze di sicurezza in loco. Per questo motivo l’Italia poteva parlare a tu per tu con Usa e Gran Bretagna. Oggi le missioni sono praticamente finite e l’addestramento si sta riducendosi di importanza. Inoltre paghiamo il non aver valorizzato quell’azione straordinaria dei nostri soldati di presidiare la diga di Mosul. Siamo stati noi ad aver impedito al Daesh di dilagare facendo saltare la diga che assicura l’acqua a tutto l’Iraq. Ma quasi non ce ne siamo accorti e la gente poi dimentica.

twitter@FDepalo


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