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Haftar firma la tregua con l’Onu e la straccia. Cosa si aspetta a fermarlo?

Iniziano i giorni sacri dell’Eid al-Adha, ma Khalifa Haftar non ferma le armi e viola una tregua umanitaria chiesta dalle Nazioni Unite e accettata da lui stesso poche ore prima, evocando dure punizioni con chiunque avesse osato violarla. Il signore della guerra della Cirenaica è nel quinto mese della campagna su Tripoli, dove aveva promesso una missione lampo ai suoi uomini e ai suoi sponsor, che gli avrebbe permesso di rovesciare il governo che l’Onu ha insediato nella capitale nel tentativo di rappacificare il paese.

Prometteva di diventare il nuovo rais, ma quello che ha ottenuto finora sono solo morti, molti tra i civili, in mezzo a rischiose campagne propagandistiche e rilanci militari. Come oggi, violando la richiesta del rappresentante delle Nazioni Unite di fermare i combattimenti almeno nei giorni della festa del Sacrificio — un simbolo, una tregua umanitaria che da una delle più importanti festività musulmane avrebbe potuto aprire la strada per il cessate il fuoco   generale e il ritorno al dialogo.

Ma l’autoproclamato Feldmaresciallo dell’Est sente evidentemente di essersi spinto ormai troppo oltre (e così i suoi sponsor esterni?); ormai è difficile individuarlo come un interlocutore potabile con cui pianificare il futuro del paese. E così invece di rallentare spinge sull’acceleratore delle armi, che ormai appaiono sempre di più come l’unica opzione in suo possesso. Oggi ha ordinato nuovi raid sull’aeroporto civile di Mitiga e contro un quartiere residenziale nella zona di Souq Al Jum’aa, nella capitale.

Va sottolineato che c’è una dimensione simbolica (quanto rischiosa) rilevante dietro a queste azioni: l’aeroporto Mitiga è lo scalo internazionale di riferimento in Libia, ed è quello utilizzato dai pellegrini che per la festa dell’Adha si spostano verso i luoghi sacri islamici. Le bombe sulla pista sono un messaggio forte, duro sul controllo nel paese e sullo sfregio del diritto e dei meccanismi internazionali.

 

 

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