Nel pieno del conflitto tra Stati Uniti e Cina che lo vede protagonista, Huawei è oggetto di nuove indagini oltreoceano.
Già inserita in una lista nera del Dipartimento del Commercio perché ritenuto un potenziale rischio per la sicurezza nazionale e un mezzo di spionaggio, il colosso tecnologico di Shenzhen, che l’intelligence americana ritiene essere legato a doppio filo con gli apparati di sicurezza di Pechino, è ora sotto la lente dei magistrati statunitensi che cercano di far luce su nuovi casi di presunti furti di tecnologia da parte dell’azienda cinese, secondo produttore di smartphone al mondo (prima di Apple e subito dopo la sudcoreana Samsung) e tra i leader in alcuni mercati strategici come i cavi sottomarini dai quali passano i dati (ora vuole costruire il primo cavo in fibra ottica tra Sud America e Asia) e, soprattutto, le reti 5G, elemento di grande attenzione da parte di Washington.
IL NUOVO CASO
Ora, riferisce il Wall Street Journal citando fonti vicine al dossier, Huawei è accusata nuovamente di aver sottratto la proprietà intellettuale da privati e aziende per diversi anni. Le indagini – secondo il quotidiano statunitense – suggeriscono infatti che il governo degli Stati Uniti stia indagando su aspetti delle pratiche commerciali del gigante cinese che non erano erano stati oggetto di contestazioni contro la società cinese emessa all’inizio di quest’anno.
Non si tratta del primo caso nel quale Huawei – che, spiega Reuters, non ha per il momento rilasciato dichiarazioni – è sotto i riflettori giudiziari americani. A gennaio, il Dipartimento di Giustizia aveva accusato la società e il suo direttore finanziario, Meng Wanzhou – figlia del potente fondatore Ren Zhengfei – fermata in Canada e forse in futuro estradata negli Usa, di aver cospirato per violare le sanzioni statunitensi contro l’Iran intrattenendo rapporti commerciali con Teheran attraverso una filiale che cercava di nascondere. E si teme che la compagnia possa aver collaborato anche con la Corea del Nord.
LA RISPOSTA CINESE
Conscia di essere nel mirino, la compagnia si sta riorganizzando, come dimostra una circolare diffusa da Ren Zhengfei e diretta ai propri dipendenti, tutti coinvolti in un piano che, nelle intenzioni, dovrà permettere di rispondere alle varie misure messe in campo dall’amministrazione guidata da Donald Trump. La nota interna, visionata e riportata da Bloomberg, è datata al 2 agosto e parlerebbe di una riorganizzazione quinquennale necessaria a far fronte alla “minaccia esistenziale” che arriva da oltreoceano. Il boicottaggio americano, spiega il miliardario cinese ai suoi, colpisce il business di Huawei, impedendole di affermarsi quale leader globale nel campo del 5G. Nel concreto, la riorganizzazione sarà “dolorosa”, poiché passerà probabilmente per il taglio di divisioni non necessarie, così da abbattere i costi e “completare una rivoluzione in condizioni aspre e difficili, e dar vita a una invincibile armata di ferro che possa aiutarci a conseguire la vittoria”.
ATTENZIONE ALTISSIMA
Sul dossier Huawei – da tempo oggetto di allarmi dell’intelligence americana e del Pentagono – l’attenzione è altissima, e vede marciare nella stessa direzione, seppur con qualche differenza, tanto l’amministrazione quanto il Congresso, che ha sbattuto fuori la società da ogni appalto governativo e ha lanciato l’iniziativa bipartisan (presidiata da tanti repubblicani di spicco come Tom Cotton, Marco Rubio e Mitt Romney), “The Future 5G Future Act di Defending America”, per impedire alla presidenza di rimuovere il gigante cinese dalla lista nera senza l’approvazione del Congresso.
LA QUESTIONE 5G
Questo perché, almeno per quanto concerne i dossier tecnologici – ricordava su questa testata il manager Alberto Forchielli – l’attenzione americana non è rivolta solo alla parte commerciale. In cima ai pensieri di Washington, ha più volte raccontato Formiche.net, ci sono innanzitutto le implicazioni di sicurezza legate al 5G e al ruolo di Pechino nello sviluppo delle nuove reti mobili. Che, secondo l’amministrazione americana, non possono trovare una soluzione soddisfacente con mere mosse tattiche, come quelle di questi giorni, ma necessitano di cambiamenti strutturali nella supply chain occidentale, quantomeno per ciò che riguarda le nevralgiche infrastrutture critiche e l’infosharing. Washington ne sta ancora discutendo con l’Italia e con tutti i partner europei e Nato, cercando di sensibilizzarli, in modo da trovare policy condivise (a questo era dedicato un summit internazionale tenutosi nei mesi scorsi a Praga). Washington teme l’espansionismo cinese. E per questo ha a più riprese avvisato i Paesi partner e alleati che affidarsi a tecnologia cinese – in particolar modo nello sviluppo del 5G – potrebbe influire sulla capacità americana di condividere informazioni di intelligence con gli alleati. La Casa Bianca teme infatti che i giganti tech del Paese asiatico possano diventare strumenti di spionaggio della Repubblica Popolare, anche per effetto di una legge sull’intelligence che obbliga le aziende cinesi a collaborare con la madrepatria. Inoltre, la rete 5G comporterà notevoli cambiamenti, connetterà una vasta moltitudine di dispositivi Iot – dalla mobilità alla telemedicina – e per velocità supererà in prospettiva di 100 volte quella attuale delle reti 4G. Per gli Usa sarebbe quindi un rischio dare alla Cina l’ipotetica possibilità di poter “spegnere” infrastrutture strategiche o l’erogazione di servizi essenziali. Ed è su questo terreno, nel quale si intersecano dispute commerciali e nuove necessità di sicurezza, che si gioca il duello globale, sempre più acceso e strategico, tra Washington e Pechino.