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Così Israele cerca di sventare la minaccia iraniana (presente in Iraq, Siria e Libano)

Questa mattina Israele – attraverso il portavoce dell’esercito prima, con il premier Benjamin Netanyahu, poi – ha confermato di aver colpito postazioni usate dalle forze iraniane in Siria: l’obiettivo è stato prevenire un attacco contro il territorio dello stato ebraico. Il premier, parlando dal nord del paese (in pieno clima elettorale) ha detto ai giornalisti che lo accompagnavano che i servizi segreti israeliani avevano scoperto che l’unità d’élite dei Pasdaran, la Quds Force, aveva mandato in Siria quattro membri specializzati per organizzare un’azione da Arneh, sulle Alture del Golan, da dove uno “special team composto anche dalle milizie sciite [filo-iraniane]” (probabilmente la libanese Hezbollah e qualche altro gruppo iracheno) avrebbe fatto partire diversi droni esplosivi “per uccidere gli israeliani”.

Colpiti a Aqraba, sudest di Damasco, un centro di comando e di guida dei droni, un convoglio che trasportava armamenti, e un magazzino di stoccaggio.

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Dice l’account Twitter dell’IDF, “come contrasti un attacco con droni killer?”, con “killer intelligence” si autorisponde – col tweet l’esercito diffonde anche un video in cui dimostra che alcuni operativi della Quds erano in Siria, scoperti mentre trasportavano uno dei droni esplosivi da lanciare su Israele. Tsahal (l’esercito israeliano IDF) ha anche detto che tutta l’operazione era supervisionata da Qassem Souleimani, il capo della Quds che è considerato l’eminenza grigia dietro alle attività di diffusione armata di influenza – e odio anti-Israele e anti-Usa, o anti-Occidente in generale – con cui i Pasdaran hanno costruito una trama di partiti/milizia in diversi paesi del Medio Oriente.

L’intelligence killer di cui si parla è quella con cui, dal 2013, Israele cerca di evitare che arrivino a compimento i piani offensivi con cui l’Iran sfrutta il caos della guerra civile siriana per armare i propri proxy e attaccare lo stato ebraico. Centinaia di bombardamenti mirati hanno già interessato la Siria in questi sei anni, ma ora si stanno allargando anche in altri territori, in Iraq per esempio (quattro nell’ultimo mese contro altre milizie collegate all’Iran). O ancora il Libano, dove più o meno negli stessi minuti del raid a Damasco è stato fatto detonare un drone esplosivo in un’area della periferia sud di Beirut, nei pressi degli uffici media di Hezbollah, la principale delle milizie collegate all’Iran che è in guerra con Israele dal 2006. Si pensa, nonostante su questo non ci siano state conferme, che si tratti di un’altra azione israeliana.

Su questo secondo attacco c’è un particolare da non sottovalutare: le immagini di un altro drone inesploso, recuperate e diffuse dai milizia libanesi, mostrano un comune ottacottero modificato e adattato a trasportare carichi esplosivi. Si tratta comunque di piccoli mezzi il cui raggio operativo probabilmente non è così ampio da essere guidati dal territorio israeliano fino alla capitale libanese, e dunque è del tutto possibile che siano stati lanciati da dentro il Libano. Nei giorni scorsi, un funzionario americano ha detto al New York Times che Israele ha colpito una milizia irachena collegata all’Iran dall’interno dell’Iraq. Il fronte è piuttosto diffuso e le operazioni si sovrappongono: per esempio, gli israeliani sono andati a colpire Hezbollah in Libano con lo stesso metodo con cui l’Iran e Hezbollah avrebbero voluto colpire Israele. Non sfugge un certo spin comunicativo dietro a queste azioni.

Ci sono vari aspetti interessanti da sottolineare in quello che sta accadendo. Per primo è la fine dell’ambiguità strategica israeliana, ossia il modo con cui Gerusalemme negava certe azioni clandestine contro i nemici all’estero. In più di un’occasione Netanyahu ha fatto capire che l’esercito israeliano sta agendo in Libano contro l’Iran, e oggi ha ufficialmente ammesso l’azione in Siria. “Voglio sottolineare che questa è stata un’iniziativa dell’Iran, era sotto il comando dell’Iran ed era una missione iraniana”, ha aggiunto a proposito del piano per far cadere sul territorio israeliano una serie di droni killer.

Un quadro che diventa ancora più delicato se si pensa che Netanyahu ha aggiunto: “Qualsiasi stato che consenta l’uso del suo territorio per attacchi contro Israele avrà le conseguenze. E sottolineo: lo stato ne porterà le conseguenze”. Un messaggio diretto anche a Iraq e Libano, che da Beirut oggi pomeriggio è stato controbattuto dal potente segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallāh, che ha parlato pubblicamente rendendo onore a due operativi uccisi nell’attacco in Siria (ci sarebbe anche un’altra vittima di un’altra milizia sciita, un comandante della Katib Hezbollah irachena, finito sotto i colpi di un altro attacco, al confine tra Iraq e Siria, poche ore dopo: comandava un convoglio che portava armi). Ma anche mandando un messaggio a Israele.

“Ogni martire è un mio figlio e sarà ripagato col sangue”, ha detto ricordando l’uccisione del suo vero figlio Hadi nel 1997, in una missione killer su cui il governo israeliano era stato molto meno loquace di adesso. La guida suprema del gruppo libanese ha parlato durante un incontro politico dell’attacco a Beirut come di una violazione della tregua chiusa tredici anni fa. Parole che potrebbero aprire una nuova stagione nella regione. Le intelligence israeliane ritengono che Hezbollah, armato dagli iraniani attraverso la Siria, avrebbe riaperto il fronte già entro la fine dell’estate.

Oggi, inaspettatamente, il ministro degli Esteri iraniano è volato a Biarritz, dove era in corso il vertice del G7. È stato accolto da Emmanuel Macron, che ha ricevuto una sorta di investitura da parte degli altri sei Grandi per trattare con Teheran in mezzo a una situazione tesissima che coinvolge il dossier nucleare, ha avuto uno sfogo con la crisi delle petroliere nel Golfo Persico, e ora vede un’escalation con le azioni israeliane che si allargano a Siria, Iraq e Libano.

(Foto: la conferenza stampa di Netanyahu dal nord di Israele)

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