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Legislatura finita. Ricollochiamo l’Italia con Usa, Europa e Nato. Parla Latorre (Pd)

“Penso che il tema vero, oserei dire fondamentale, dal quale ripartire sia il ruolo del nostro Paese nello scenario internazionale in una fase cruciale come quella attuale nella quale si stanno ridefinendo i rapporti di forza mondiali”, parte così una conversazione garbata e lucida con Nicola Latorre, già esponente di punta del Partito democratico, ex senatore e nella scorsa legislatura presidente della commissione difesa, che affronta con un occhio allargato al mondo la crisi di governo attuale e risponde alle domande che riguardano le disfunzioni con cui è stata trattata dall’attuale esecutivo la sfera di collocazione internazionale dell’Italia. E il futuro. 

Qual è il problema?

Uno degli aspetti più problematici del dibattito politico di questi ultimi tempi nel nostro Paese è stato proprio l’aver marginalizzato i temi di politica estera, utilizzati semmai in modo strumentale solo al fine di alimentare la polemica politica interna. E anche chi come il centrosinistra una rotta negli anni di governo l’aveva indicata s’è fatto coinvolgere in questo processo che definirei degenerativo. Si e’ quindi smarrita una prospettiva strategica alla quale ispirare la nostra iniziativa politica diplomatica e si sono registrati comportamenti nella politica estera contraddittori e spesso dannosi per gli stessi imteressi nazionali. Eppure adesso più che mai serve quella rotta, perché lo scenario internazionale si muove e si presenta sempre più complesso.

Prima di andare avanti, perché chiaramente qui sta il punto dietro a questa conversazione, chiariamo subito: quando parliamo di “rotta”, che cosa si intende?

Non ho dubbi, credo con assoluta fermezza che la rotta, o, per dirla diversamente, i due asset principali per la politica estera italiana siano la ripresa di un’iniziativa europeista e la necessità di ribadire con assoluta fermezza il nostro ancoraggio ai valori e alle alleanze occidentali. Sembrerebbero ovvietà, ma in questa fase purtroppo non lo sono più. 

E la storia dell’ambasciatore cinese che convoca a Roma una conferenza stampa per attaccare gli Stati Uniti sul dossier Hong Kong ne è una forma di dimostrazione. Però andiamo verso una stagione delicata, quella elettorale, dove certi temi finiscono sempre in secondo piano.

Innazitutto credo che questa legislatura abbia abbondantemente esaurito la sua funzione, e certamente le campagne elettorali si decidono prevalentemente su temi che alludono direttamente alle condizioni di vita, a quelle economiche e sociali. Ma i temi di politica estera sono in realtà  cruciali anche ai fini dello sviluppo economico e alla soluzione dei problemi del paese. Oggi più che mai.

Anche nell’era dei sovranismi?

Assolutamente sì. E per essere molto chiaro sono anch’io convinto che un paese come l’Italia per la sua storia e la sua posizione geografica debba essere in grado di sviluppare un’iniziativa a 360 gradi, di dialogare con tutti. E dunque anche con grandi Paesi come la Cina o la Russia. Ma senza avere una rotta e un forte ancoraggio ai valori fondamentali a cui si ispira da sempre la nostra collocazione internazionale, e dunque senza ribadire con forza l’orizzonte europeista, la partecipazione alla Nato, il ruolo nell’Occidente… ecco: se non si definisce questo perimetro, anche i rapporti con quei paesi non porteranno a niente, né in termini di sviluppo economico né in termini di rafforzamento del ruolo italiano nello scacchiere internazionale.

Eppure ci abbiamo provato…

Abbiamo affrontato la questione con la Cina in una maniera assolutamente sbagliata prestandoci a una operazione tutta politica con scarso ritorno economico e che ha comprensibilmente alimentato sospetti nei nostri alleati. Si pensi a come la Francia ha gestito questa relazione con la Cina. Senza concedere nulla politicamente e portando a casa contratti non di poco conto, certamente superiori ai benefici che abbiamo ottenuto noi aderendo alla Nuova Via della Seta. E anche nel rapporto con la Russia:quello che sta emergendo è che si è avuta una relazione subalterna per colpa di alcune forze politiche, che non solo non ci ha reso più forti all’interno dello schieramento occidentale, ma che semmai ci indebolisce e ci fa apparire come un Paese inaffidabile.

Però c’è un altro grande tema, soprattutto per il centrosinistra: il rapporto con gli Stati Uniti dell’era Trump. Che fare?

Tenere ben chiare quelle direttrici strategiche di cui ho parlato significa anche avere la forza e la capacità di confrontarsi con elementi di novità. Se tuttto è in movimento l’esigenza di adeguare le strategie alle novità che via via intervengono è indispensabile. Sul fronte dei rapporti con gli Stati Uniti credo che sia del tutto legittimo avere  un giudizio anche critico con l’attuale amministrazione americana. Ed già avvenuto in altri momenti storici. Ma sarebbe un grave errore trasformare un legittimo giudizio critico in una nuova stagione di anti-americanismo. Sarebbe un errore fatale, a cui non devono cedere per prime le forze democratiche, perché il rapporto con gli Usa resta fondamentale sotto ogni punto di vista, sia economico che per le nostre politiche di difesa e sicurezza.

E con l’Europa? Nel nostro Paese le anime politiche anti-Ue hanno ottenuto il pieno dei consensi… 

Anche sul progetto europeo dobbiamo fare tesoro dei limiti di questi anni che hanno esposto a seri rischi la prospettiva europea. Aggiornare quindi le politiche europeiste ma nella direzione di più Europa e non di meno Europa. Se in Italia l’esito delle elezioni europee e’ stato favorevole alle forze antieuropee il risultato generale in Europa segna la sconfitta dei sovranisti. E a mio avviso qualcosa cambierà. Perché il progetto su cui i grandi protagonisti della politica internazionale avevano puntato, quello cioè di destrutturare l’Ue per poter aggredire quello che resta il primo mercato mondiale, non ha avuto successo. E se non altro per realpolitik questo potrebbe cambiare l’atteggiamento di quegli stessi Paesi nei confronti dell’Europa. 

Dunque, potremmo dire sarcasticamente, “c’è speranza”?

Il rilancio del progetto europeista anche in Italia resta fondamentale. Ci renderebbe più forti anche su dossiers essenziali per la nostra sicurezza e la nostra economia. Mi riferisco principalmente al rapporto con l’area grande del Mediterraneo compresa quella del Nordafrica. Dal futuro di quell’area dipenderà molto del nostro futuro. Più forti e credibili saremo in Europa e nella Nato più avrà peso il nostro punto di vista e la nostra iniziativa

Sebbene normalmente non mi occupi di politica italiana  una domanda sulla situazione attuale devo ovviamente farla per il valore dell’interlocutore tanto quanto per le contingenze: che succede? Nuovo governo o prossime elezioni?

Ci tengo a dire una cosa: per adesso guardo a quel che succede come osservatore più che come protagonista. E da osservatore mi sento di dire che non vedo onestamente margini di costruzione di un’altra esperienza di governo, poi chiaro sarà il presidente della Repubblica a fare le giuste valutazioni, e in questo ritengo quasi ovvio che il Quirinale tenterà di verificare se c’è un’altra maggioranza possibile, e a quel punto dipenderà dalle posizioni dei partiti. L’auspicio è che si tenga conto degli interessi del paese e si metta subito l’Italia in grado di gestire quei passaggi cruciali che abbiamo di fronte. Perché ricordiamoci: mentre noi discutiamo di far sbarcare o meno qualcuno solo con l’obiettivo di prendere più voti, nel mondo sono in corso movimenti da cui dipenderanno i futuri assetti della politica internazionale e quindi i destini dei diversi Paesi Non c’è tanto tempo da perdere.

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