Ufficialmente manca ancora un mese o poco meno all’inizio della scrittura della manovra (il testo va redatto entro il 30 settembre). Ma il cantiere è in realtà già aperto da tempo (qui l’intervista a Laura Cavandoli, segretario della commissione Finanze). A Giovanni Tria spetterà l’ultima parola, perché sarà lui a dover valutare l’esistenza o meno delle necessarie coperture alla prossima legge di Bilancio. Non sara facile: la carne che Lega e Movimento Cinque Stelle vogliono mettere al fuoco è decisamente tanta: flat tax al 15% per la Lega, salario minimo e taglio del cuneo per il Movimento. In mezzo e questo sì va d’accordo con Tria, il blocco delle clausole Iva che da solo vale 23 miliardi. Il tutto però in assenza di Pil, di privatizzazioni e di revisione della spesa. Ma a Via XX Settembre sembrano aver messo le mani avanti, immaginando una manovra in puro stile europeo, tutta realismo e poca fantasia. Le ragioni di tale scelta, d’altronde, ci sono.
LE RAGIONI DI TRIA
Lo scorso anno l’Italia ha ottenuto dopo due mesi di confronto serrato il via libera dell’Europa a una legge di Bilancio che poggiava interamente su un disavanzo del 2% (il governo avrebbe voluto sforare al 2,4%). Poi, si è aperta la partita per la procedura di infrazione per debito eccessivo, risolta un mese fa grazie a una serie di impegni presi dall’Italia, tra cui proprio la riduzione del debito, e dunque anche del deficit visto che il debito pubblico altro non è che il monte-disavanzo annuale. Il nostro disavanzo, se la parola data vale qualcosa, non potrà dunque andare oltre il 2% ma piuttosto scendere. Per questo l’Italia non può permettersi una seconda manovra troppo aggressiva e troppo a ridosso della zona franca delle regole Ue. Il costrutto immaginato dal ministro dell’Economia va proprio in questo senso: sarebbe un errore mettere alla prova la pazienza europea (i rapporti tra il presidente della Commissione Ue, l’esecutivo comunitario, Ursula von del Leyen, cui spetta la vigilanza sui nostri conti e la Lega peraltro non sono dei migliori) una seconda volta.
UNA MANOVRA STILE UE
Di qui le indicazioni del responsabile dell’Economia per un’ex finanziaria il più possibile in linea con Bruxelles. Secondo una ricostruzione di Repubblica, nella testa di Tria ci sarebbe una manovra poggiante su un deficit entro e non oltre l’1,8%, lo stop alle clausole Iva grazie al riordino delle agevolazioni fiscali (le tax expenditures, su cui però finora nessun governo ha mai davvero inciso) e lo spostamento degli 80 euro di Renzi sulla base di finanziamento della flat tax (ma Luigi Di Maio non è d’accordo perché così si tolgono soldi alle fasce deboli). Il resto, sarebbe puro e semplice aggiustamento dei conti pubblici. Il recipiente insomma sarebbe per Tria già bello pieno, riempito a dovere dagli impegni presi con l’Europa, quando commissario agli Affari Monetari era Pierre Moscovici. Nella logica di Tria, visto che già Iva e flat tax valgono complessivamente 23 miliardi più 12 dunque 35 miliardi, rimarrebbe fuori il salario minimo caro ai Cinque Stelle, finanziabile attraverso il taglio del cuneo fiscale, il quale richiederebbe un aumento del deficit, cosa che Tria vuole evitare a tutti i costi.
L’ECONOMIA MIGLIORA?
Ci sarebbe un’altra ragione che può sostenere la scelta di Tria. E cioè che secondo i dati odierni dell’Istat, l’economia italiana va verso un miglioramento e questo nonostante il nostro Pil nel 2019 difficilmente andrà oltre lo 0,1%. A luglio “l’indicatore anticipatore ha interrotto la tendenza alla flessione in atto dalla fine dello scorso anno, prospettando uno scenario di lieve miglioramento dei livelli produttivi“, scrive l’Istituto di statistica. L’Istat evidenzia che il clima di fiducia dei consumatori ha registrato un marcato aumento, diffuso a tutte le componenti e che il recupero della fiducia ha coinvolto anche le imprese ad eccezione di quelle manifatturiere. Una manovra prudente e realistica, poco di fantasia, potrebbe essere dunque la scelta più azzeccata. Non è un caso che lo stesso Istat inviti a non abbassare la guardia. “Le prospettive per gli scambi internazionali, penalizzate dal protrarsi delle tensioni commerciali e dal rallentamento dell’attività economica in Cina, rimangono negative”.