Da 12 anni Monocle, rivista globale basata a Londra e venduta in tutto il mondo senza edizioni regionali ma con corrispondenti, tra l’altro, da New York, Tokyo, Hong Kong, Istambul e Singapore, realizza l’approfondimento “top 25 cities in the world”. Tradizionalmente, il numero estivo della rivista definita dalla Cbc News “un incontro tra politica estera e Vanity Fair” definisce un indice sulla vivibilità urbana. Si tratta di un indice particolare, che non tiene conto di dimensione, numero di abitanti, capacità di impatto, ricchezza e altri parametri utilizzati invece da università e centri di ricerca per le megalopoli di oggi, ma fa focus sulla qualità della vita basandosi su diretta esperienza e su lavoro degli inviati della global review.
Monocle, che offre una prospettiva globale su affari internazionali, economia, cultura, design e moda, costruisce questa classifica con un criterio che gli stessi curatori definiscono “l’equilibrio tra pianificazione del futuro e gestione del presente”: come cambiano i centri ed anche come sono cambiate le città rispetto alle aspettative di chi le abita o le frequenta. Ne viene fuori una analisi complessiva su evoluzione (o involuzione) anche rispetto ad aspetti poco scientifici e “secondari” (ad es: come si espande l’aeroporto; se i collegamenti di aerei e ferrovia hanno nuove tratte e quante località raggiungono; se ad investitori e turisti si mostra una “faccia amichevole” o meno; e così via) che però contribuiscono a far rilevare il ruolo centrale che hanno raggiunto su scala mondiale le città. Il fatto che uno dei magazine più à la page del mondo (tra le principali letture della classe dirigente dei differenti Paesi) dedichi il proprio principale approfondimento al tema “centri urbani/vivibilità” da la cifra di come le cities siano percepite come soggetti da attenzionare e protagonisti di scelte, politiche, orientamenti, soluzioni sia su scala locale che su dimensione globale.
Nella classifica Monocle 2019, il podio è Zurigo, Tokyo, Monaco (nel 2018 era Monaco, Tokyo, Vienna). Complessivamente la foto che scatta la rivista vede 15 città europee (Zurigo, Monaco di Baviera, Copenhagen, Vienna, Helsinki, Amburgo, Madrid, Berlino, Lisbona, Stoccolma, Amsterdam, Barcellona, Parigi, Dusseldorf, Oslo); 5 asiatiche (Tokyo, Hong Kong, Kyoto, Fukuoka, Singapore); 4 australiane (Melbourne, Sydney, Auckland, Brisbane); 1 dell’america del nord (Vancouver). Africa, Medioriente, sud America e più in generale le big cities di oggi (ad eccezione di Tokyo, Parigi, Hong Kong e Singapore) non entrano in questa speciale classifica, così come non ci sono le prime sei megalopoli del mondo (Shanghai, Pechino, Lagos, Nuova Dehli, Tientsin, Karachi) che da sole sommano quasi 117 milioni di abitanti e si trovano tutte in territori che non comprendono nessuna delle città considerate invece nella classifica Monocle. Ciò porta a due considerazioni: le megalopoli del futuro che si stanno sviluppando e sono fonte di attrazione per persone e imprese, si trovano nelle zone di nuovo sviluppo e forte crescita (Cina e India prevalentemente); l’Europa si conferma essere comunque lo spazio mondiale più confortevole (anche in questo ambito) ed il buon vivere dei propri centri lo testimonia.
Rispetto alle città che entrano nell’indice di Monocle, ve ne sono due che lontanissime fisicamente sono però accomunate da fenomeno simile, inusuale per luoghi identificati come “belli da vivere”: in quest’anno, Parigi (19ma) e Hong Kong (16ma) hanno visto proteste di massa prolungate per lunghi periodi, spesso con azioni violente. Per motivi diversi, gli abitanti sono scesi in piazza non contro la gestione cittadina ma per questioni politiche che superano i rispettivi confini amministrativi: gilet gialli e contestazioni alla Cina hanno tenuto miglia di cittadini nelle piazze delle due città per un periodo abbastanza importante. Quanto e come tutto ciò impatterà nella “vivibilità” futura lo si vedrà nel report del prossimo anno.
Manca l’Italia. Nella classifica che indica le città per qualità della vita, manca il Paese che del bel vivere è conosciuto nel mondo. Come già detto prima, mancano in generale le big cities globali: non ci sono New York, Londra, Tel Aviv, Rio, Mosca, San Francisco, Ankara, e non è quindi ne un errore ne un limite che manchi Milano – che comunque ha fatto passi notevoli sul versante della vivibilità ed è oggi la sola città italiana di respiro e dimensione globale – ma è invece un limite che non ci sia nessuna città della Penisola. Torino o Napoli o una delle cittadine del centro Italia perché non riescono ancora ad essere percepite a livello globale come luoghi di innovazione e in cui è bello vivere ma solo come spazi da visitare per qualche giorno? La capacità di saper conquistare stabilmente capitale umano e aziende, di essere centro di attrazione per la mobilità di competenze, saranno snodi nevralgici per le urbanizzazioni del futuro.
Essere un protagonista dei prossimi decenni o meno passa anche dalla consapevolezza di non essere solo qualcosa da guardare ma un luogo in cui vivere ed investire. Questa condizione manca a gran parte delle città italiane e manca all’Italia come dimensione di solidità per la prospettiva di vita di singoli ed imprese.