Oggi per costruire un’alternativa politica alla Lega occorrerebbe un grande leader, perché Salvini tutto quello che ha se lo è guadagnato. Questo uno dei passaggi scelti dal prof. Giovanni Orsina, uno dei più noti politologi e storici italiani, per scomporre e analizzare le mosse del salvinismo all’interno di questa crisi di governo.
Ha scritto sulla Stampa che con partiti destrutturati, istituzioni deboli ed elettori sempre più volitivi vince chi resta costantemente al centro dell’attenzione: l’immagine più della sostanza?
Direi di sì. Dopo di che è evidente che tenere l’immagine per un periodo lungo senza che vi sia anche sostanza non si può fare. Il problema è monopolizzare l’agenda, con l’esigenza di rinnovare il patto con gli elettori quotidianamente re-rinnovare il consenso ogni ora, anche usando i social, prevalentemente sul piano comunicativo. In passato invece il singolo elettore, democristiano, socialista o comunista, quel patto lo firmava una volta sola per poi contare sul consenso che si rinnovava su ciò che veniva realizzato.
Si sarebbe aspettato le dimissioni del premier Conte?
Nella Prima Repubblica sì, il governo sarebbe stato sfiduciato da un gioco di partiti, con un percorso di uscita già codificato. In quel contesto il premier si muoveva all’interno di un meccanismo del quale era parte e dal quale avrebbe ottenuto un qualcosa dopo: restare ministro nell’esecutivo successivo. Per questo non aveva interesse a tirare la corda per andare al voto. Qui invece siamo in un contesto completamente diverso.
Con quale perimetro?
Non si vede quel tipo di gioco politico codificato con il risultato già scritto.
Il Colle non sembra ostacolare le urne: ma come incastrarle con la legge di stabilità e le clausole?
Il Presidente della Repubblica è il notaio della maggioranza parlamentare e dovrà verificarla: se non ce ne fosse una alternativa a quella del governo Conte allora non potrà fare altro che prenderne altro e portare il Paese alle urne. Il tema è come arrivare a quel punto.
Con un governo di garanzia?
Ci potrebbe essere il governo Conte sfiduciato, lasciato in carica per gli affari correnti. O quello di garanzia con l’incarico di portare l’Italia al voto impostando la legge di stabilità. Occorre capire in che modo costruirlo e con quali voti sostenerlo, visto che comunque servirà una base parlamentare. Credo valga la pena ripercorrere la crisi dello scorso anno: lì troveremmo interessanti passaggi utili per capire mosse e contromosse.
Perché Salvini non ha rotto a maggio, così da evitare il caos della legge di Stabilità?
E’una grande domanda. Forse perché ancora non aveva maturato la decisione, se vogliamo dare una spiegazione psicologica. Oppure perché non voleva fare la finanziaria in una condizione di stabilità politica. Andare al voto in contemporanea con la finanziaria significa immaginare di risolverla attraverso percorsi tecnici.
Da queste colonne Sofia Ventura ha detto che non solo è sparita la grammatica politica ma anche quella italiana e dei modi, alludendo a Salvini. Che, ciononostante, avrebbe la maggioranza. Che cosa è mutato rispetto al berlusconismo e al renzismo?
È un processo degenerativo che ha compiuto un ulteriore passo in avanti. La politica è stata per decenni un ambito molto separato dalla vita sociale, una sfera con riti, regole e linguaggi. Lo scontro politico, per intenderci, era comunque imbrigliato in un alveo di buona creanza. Quella separazione il paese l’ha rifiutata, già con Tangentopoli. Poi c’è stata la logica manageriale di Berlusconi, quella giudiziaria e moralistica. E la politica ha perso così la propria autonomia.
Oggi che tratti somatici ha?
E’stata risucchiata nei modi della comunicazione pubblica non politica, modi sempre più corrotti. Si parla sempre di disintermediazione, ma l’intermediazione credo sia utile anche per un controllo di qualità, per un maggior rispetto di ruoli e regole: per evitare che venga fuori l’umanità nelle sue forme più brutali. La politica è entrata in questo percorso: lo abbiamo visto con Berlusconi, Renzi e oggi il trend è lo stesso. E non credo sia colpa di Salvini.
In che senso?
Nel senso che è un interprete della politica come si fa oggi.
L’appello del Foglio per una destra non truce ha chanches di riscontri?
Non credo, è un messaggio nella bottiglia per la costruzione di un terreno nel medio-lungo periodo. In questo momento la destra è Salvini e chiunque altro ci sia a destra deve decidere se stare con lui in posizione subordinata o contro di lui e in quel caso senza spazio politico. Anche perché i voti di destra Salvini se li è presi. Certo, se volessimo ragionare in prospettiva sul consenso futuro salviniano, allora quell’appello potrebbe avere un senso. In genere questo sforzo sarebbe utile farlo non sul piano politico ma su quello culturale, tramite una fondazione o un think thank, per tenere una posizione di quel tipo e valutare successivamente lo spazio. Oggi per costruire un’alternativa politica occorrerebbe un grande leader, perché Salvini tutto quello che ha se lo è guadagnato.
Sin dal primo giorno in via Bellerio con scopa e paletta in mano…
Non è stato un minuto fermo dal 2013 a oggi, mostrando indubbie qualità di comunicazione, di leadership e di tattica politica. Se con tutto il rispetto qualcuno pensa di ricostruire il centrodestra con Berlusconi, che quelle qualità le aveva ma va per gli ottantatré, o con qualcuno dei leader attuali di Forza Italia, che con tutto il rispetto quelle qualità non le hanno, ha sbagliato paese ed epoca storica.
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