Per capire la genesi e l’ideologia del Movimento Cinque Stelle nessun tema è più appropriato quanto quello delle infrastrutture. Nato sulla scorta del giustizialismo post Tangentopoli (Casaleggio Senior era consulente dell’Italia dei Valori, partito antesignano del grillismo), il Movimento Cinque Stelle da sempre ha fatto della battaglia contro le grandi opere il cuore della sua offerta politica, scandita anche dalle affermazioni banali quanto incisive di Beppe Grillo, che arrivò a bollare la Tav come opera inutile, perché avrebbe sparato mozzarelle a 300 all’ora.
La base dei grillini, del resto, ha attinto proprio dal movimentismo contro le grandi opere come la No Tav Laura Castelli, nominata poi viceministro dell’Economia nel governo Conte, lo stesso Alessandro Di Battista, ma anche parlamentari meno conosciuti come Carmela Grippa, attivista contro gli insediamenti delle trivelle in Adriatico. Il sì alla Tav con la lettera del Ministero datata 26 luglio dopo una pantomima durata un anno, ha rappresentato nei sondaggi il punto di caduta più basso del Movimento, che anche senza l’assenso formale dell’allora ministro Danilo Toninelli (la lettera alla Ue è stata firmata dai tecnici del Mit), dava di fatto il nulla osta all’opera simbolo della lotta alla corruzione e all’ossequio alle lobby.
Era già accaduto per il Tap a Melendugno, l’Ilva a Taranto, che in campagna elettorale Luigi Di Maio annunciò che sarebbe diventato un Parco giochi. Si è ripetuto poche ore fa puntualmente anche con la Gronda a Genova, perchè il documento prodotto dai tecnici del dicastero di Porta Pia, che sottolinea l’opportunità di perseguire opzioni “più efficienti in termini trasportistici, ambientali e finanziari” per il nodo stradale genovese, è stata l’occasione per riaccendere anche la polemica con Autostrade per l’Italia secondo cui l’analisi è caratterizzata da “errori macroscopici, soluzioni tecniche irrealizzabili, valutazioni dei dati del tutto arbitrarie” e tenerla in considerazione “avrebbe come unico effetto quello di ritardare ulteriormente la realizzazione dell’opera”.
Insomma un’opera giudicata ancora di più indispensabile dopo il crollo del Morandi è ancora una volta al centro di un dibattitto politico, come accade sempre quando il Movimento Cinque Stelle deve pronunciarsi sulla realizzazione di infrastrutture. La realizzazione della Gronda di Genova, infatti, è già stata al centro dello scontro politico fortissimo tra Lega, favorevole, e M5S, contrario, proprio come accaduto con la Tav. Ancora poche settimane fa Matteo Salvini a Genova, dopo le commemorazioni per il primo anniversario della tragedia del Ponte Morandi, aveva ribadito che “la Gronda si farà”, facendo intendere che un prossimo governo da lui guidato l’avrebbe certamente sbloccata. A favore dell’opera peraltro sul territorio è anche il Pd, oltre alle imprese e ai commercianti.
I dieci punti programmatici per costruire il nuovo esecutivo elencati ieri da Di Maio indicano in buona sostanza che nessuna delle forze politiche in campo è in grado di costituire un governo solido e che possa durare per tutta la legislatura. I due partiti che dovrebbero stipulare l’accordo di legislatura sono divisi al loro interno, a cominciare proprio dal Pd, dove la linea renziana della responsabilità istituzionale ha messo in imbarazzo la corsa alle urne di Zingaretti. I dieci punti indicati da Luigi Di Maio conservano ancora molto ideologismo e soprattutto sono in parte indigeribili per il Pd (ad esempio la priorità del taglio dei parlamentari, sulla quale Zingaretti ha detto chiaramente di non essere d’accordo), anche se su ridistribuzione del reddito e ambiente la convergenza ideologica può essere trovata perché si tratta di tematiche interpretate da Di Maio con una chiara matrice di sinistra.
Ma sulle infrastrutture M5S e Pd restano agli antipodi. A meno che i grillini non vogliano abbandonare completamente la loro natura movimentista, e di fatto costituire l’ala sinistra di un Pd ancora marcatamente renziano (e quindi di centro), creando le premesse per un nuovo e inedito bipolarismo (quello che di fatto è stato decretato dalle Europee di maggio), con M5S e Pd appunto da una parte, e tutto il centro-destra (ammesso che resti unito perché Salvini continua a parlare di Lega e mai davvero di centro-destra) dall’altra.