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Così la Cina minaccia Hong Kong. La tensione sale. E fa paura

Il governo centrale cinese non starà seduto a guardare la disgregazione di Hong Kong, scrive in un commento l’agenzia di stampa Xinhua, che condanna “la violenza” che ha interessato il Porto Profumato seguendo quello che negli ultimi giorni è diventato un trend ringhioso nei confronti delle proteste contro la cinesizzazione dell’ex colonia britannica, innescate da diverse settimane dal passaggio parlamentare di una controversa legge sull’estradizione (verso la Cina) ora ritirata. E non sfugge una tempistica precisa: questo weekend di manifestazioni anticipa uno sciopero generale organizzato per domani, lunedì 5 agosto in cui le piazze potrebbero riempirsi ancora di più.

“Dobbiamo mettere in guardia tutte le brutte forze che cercano di sfidare l’autorità centrale e minare la linea di fondo del principio ‘un Paese, due sistemi’”, scrive la Xinhua oggi parlando in modo propagandistico dello schema amministrativo con cui Pechino s’è impegnata a mantenere una sorta di semi-indipendenza a Hong Kong al momento della riconsegna da Londra. E c’è anche un accenno a “forze” che giocano dall’esterno un ruolo sulle proteste, faccenda su cui la Cina s’è esposta arrivando a denunciare un qualche piano della Cia.

Ancora: “Il governo centrale non siederà pigramente e non lascerà che questa situazione continui”. Nei giorni scorsi Pechino ha mandato segnali muscolari: ci sono stati movimenti di truppe al confine con la Cina continentale, un video spettacolarizzato e minaccioso su esercitazioni anti-rivolte diffuso dalla guarnigione locale dell’Esercito del popolo, un editoriale duro da parte di un giornale vicino alla difesa che non escludeva un intervento armato massiccio.

Probabilmente il governo cinese non darà semaforo verde per una repressione violenta, avendo addosso i riflettori globali (anche perché la situazione è guardata con molta attenzione dai mercati, visto il ruolo che Hong Kong ricopre nel mondo finanziario internazionale). Ma in questi quattro giorni di raduni programmati i disordini sono destinati a crescere così come il nervosismo di Pechino.

Ieri sera la polizia ha usato gas lacrimogeni in alcune parti del distretto di Kowloon per cercare di disperdere la folla e riaprire le strade bloccate, mentre il verde fluorescente dei laser dei manifestanti usati per confondere gli occhiali a riconoscimento facciale della polizia è diventato ormai il simbolo di colore in mezzo ai tumulti. E intanto sui social network girano video in cui i poliziotti sono ripresi a sparare i lacrimogeni ad alzo zero contro la gente. Il governo di Hong Kong — guidato da un Executive scelto da Pechino al centro delle proteste iniziali — ha detto che la situazione sta andando “ben oltre il limite della libertà di espressione in una società civile”.

Le proteste segnano la più grande sfida popolare per il leader cinese Xi Jinping da quando è entrato in carica nel 2012. Ormai la gente per strada chiede più democrazia, e dunque completa indipendenza, qualcosa che la Cina non ha intenzione di concedere, sia per interessi (il peso economico di Hong Kong e il ruolo che può avere in programmi geopolitici come la Greater Bat Area), sia per questioni politiche (la proiezione di potenza sarebbe indebolita dal perdere una delle Cine).

(Foto: Twitter @jesuispoppie, account che segue da dentro le proteste)

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