Sempre che tutto vada in porto e che si arrivi, al termine delle consultazione, alla nascita di un governo giallorosso, è necessario interrogarsi su quale possa e debba essere la politica economica del neo governo.
Come avevamo previsto l’anno scorso all’interno della commissione presieduta dal professor Della Cananea, di cui ho fatto parte, era ben possibile immaginare sia una coalizione gialloverde sia una coalizione giallorossa. Il problema, su cui allora forse non avevamo ragionato neanche noi, è che bisognava capire se le misure di politica economica sarebbero riuscite a rimanere sostenibili, e questo vale sia per la coalizione gialloverde che è fallita, che per quella giallorossa, la quale parte con una buona dose di entusiasmo, come tutte le iniziative nel loro nascere.
Bisogna chiedersi, allora, cosa rende questa coalizione giallorossa potenzialmente sostenibile. Ovviamente ci sono le convenienze politiche, un collante che tiene insieme le due forze, su cui però sorvolerei, concentrandomi sulle sfide economiche che ha di fronte. Continuo a pensare che malgrado Salvini abbia fatto svariati errori tattico-strategici a livello politico, ci sia stato di fondo, nel suo atteggiamento così sorprendente per tanti analisti, una logica comprensibile, cioè quella di credere che a settembre, in autunno, la coalizione gialloverde non sarebbe stata capace di fare, dati tutti i vincoli europei e nazionali, una manovra di bilancio coerente con la propria visione economica. Nulla mi toglierà dalla testa che Salvini si è reso conto che tutti i suoi programmi economici non avrebbero retto all’interno del contesto italiano ed europeo, in termini soprattutto di rispetto del deficit pubblico, del Pil, dell’andamento del deficit pubblico sul Pil e quindi dell’impossibilità di attuare una serie di manovre, compresa la famosa flat tax e il non aumento dell’Iva.
A questo punto la domanda chiave diventa: qual è la manovra sostenibile che questa nuova coalizione può mettere in campo? Quando dico sostenibile intendo non solo per i due partiti, ma anche per il Paese e l’Europa, che molto dipende da quello che avviene in Italia. Se l’Italia fallisce, l’Europa fallisce, se l’Italia scoppia, l’Europa scoppia. E se l’Italia scoppia e l’Europa scoppia, scoppia anche a livello politico questa nuova coalizione. È ovvio, e Salvini starà alla finestra ad aspettare, che un fallimento economico nei prossimi due anni porterà Salvini ben sopra il 40% – è più facile fare opposizione quando le cose vanno male – ma porterà proprio alla conclusione di un progetto italo-europeo sostenibile di lungo periodo che un europeista come me desidera. Con questa consapevolezza, bisogna domandarsi cosa devono fare a livello economico Movimento 5 Stelle e Partito democratico.
La risposta, a mio parere, è che devono fare esattamente il contrario – e qui il grande pericolo e la grande sfida – di quello che è nel loro dna, perché si è rivelato in momenti diversi estremamente dannoso, estremamente sbagliato, estremamente funzionale alla crescita dei sovranismi in Italia e in Europa. Quando dico sbagliato non mi riferisco solo alle componenti gialle e rosse, ma anche al blu con le stelline gialle, ossia a livello europeo. Se queste tre punte del triangolo – i gialli, i rossi e l’Europa – non trovano la quadra della politica economica, rischiano di fare esplodere il progetto europeo.
Concretamente, significa che 1. il Pd deve abbandonare le sue politiche di austerità, e paradossalmente deve seguire quello che intuì la coalizione gialloverde, ossia abbandonare il fiscal compact. Non è pensabile sentire uno Zingaretti dire “abbasseremo le tasse, aumenteremo la spesa per gli investimenti” in un contesto dove l’Europa chiede una convergenza al bilancio in pareggio. O mente Zingaretti o ci prepariamo a due anni di ambiguità, di passi indietro, che ovviamente danneggiano le imprese, le quali non faranno investimenti in un clima di incertezza. Abbiamo bisogno di un programma non austero, di confermare un deficit attorno al 3% fisso fino a quando l’economia italiana non uscirà da questa crisi che ormai dura da più di 10 anni. Ma non basta.
Un tentativo simile, infatti, l’hanno fatto i gialloverdi, eppure l’economia non è ripartita. Il governo Conte – ricordiamolo – è il governo che ha scritto di suo pugno sul documento di economia e finanza “Cresceremo con le nostre politiche dello 0,8% nei prossimi 3 anni”, cioè ha autocertificato il suo fallimento. Nell’anno appena passato qualcosa di molto sbagliato è successo, ossia che le risorse liberate dal governo gialloverde – contro l’Europa, contro il fiscal compact, contro la convergenza del bilancio in pareggio – sono state spese nel modo peggiore possibile, sono state buttate in un reddito di cittadinanza che non genera alcuna crescita e con un aiuto alle fasce più povere che poteva benissimo venire da quella componente della spesa che si chiama investimenti pubblici, i quali non solo aiutano i più poveri dandogli un lavoro, ma si traducono anche in crescita del Paese.
Saranno i rossi capaci di rinunciare all’austerità, alla convergenza del bilancio in pareggio? Saranno i gialli capaci di rinunciare al reddito di cittadinanza per fare investimenti pubblici come non hanno mai fatto? Se non succede questo la mia impressione è che certamente avremo un Presidente della Repubblica eletto da questa coalizione, certamente avremo un Renzi che non si deve preoccupare di perdere i suoi parlamentari nei prossimi due anni, ma tra tre anni, quando arriverà il tempo delle elezioni, non ci sarà più scampo e saremo consegnati a un movimento sovranista perché non avremo avuto la forza, la capacità, l’intelligenza e la visione di fare le uniche politiche che servono alla gente per vivere serena, che sono quelle della crescita e dell’occupazione.
In tutto questo messaggio un po’ catastrofista c’è un elemento importante, positivo, una lezione: credo che l’Europa abbia ben chiaro quanti pericoli abbiamo corso con un governo gialloverde che intendeva allontanarci dall’Ue a causa delle politiche sbagliate da lei raccomandate. È venuto il tempo che l’Europa si renda conto che deve consigliare le politiche giuste, quelle della crescita, di cui ha bisogno anche la Germania a causa della fase di stallo in cui si trova.
Il momento strategico è ottimo, si può andare dall’Europa e chiedere l’elasticità che chiederà anche al Germania, senza timore di sentirsi rispondere no a causa del nostro debito pubblico. Le ragioni della sua dimensione, infatti, paradosso dei paradossi, sono le politiche austere applicate dai passati governi, richieste da questa stessa Europa.
Se l’Ue è intelligente capirà che i sovranisti si fermano solo con la crescita, che sono cresciuti e si sono alimentati grazie alle politiche sbagliate europee. Il governo giallorosso può, allora, abbandonare il fiscal compact – ovviamente garantendo la bontà della spesa, non che i soldi vengano buttati come è stato fatto nell’ultimo anno –, e concentrarsi sugli investimenti pubblici. Se, poi, si farà aumentare l’Iva si possono trovare risorse per stare sotto il 3% e usarle ancora una volta per gli investimenti pubblici. E sappiamo che aumentare l’Iva e di pari passo aumentare gli investimenti pubblici ha un effetto espansivo sull’economia.