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Renzi, il ritorno del leader che detta la linea. E spuntano i mal di pancia nel Pd

Un governo istituzionale, quasi di responsabilità nazionale e targato Pd-M5S e magari Forza Italia, con cui impedire l’aumento dell’Iva e tagliare i parlamentari e poi il voto. L’idea di Matteo Renzi sta facendo rumore, dentro e fuori il Pd. L’intervista al Corriere con cui l’ex premier e leader dem dice no al voto e propone un governo forse eclettico (ma forse anche necessario?)  ha innescato una lunga serie di reazioni nel partito fondato da Walter Veltroni, la cui linea – dettata dal segretario nazionale Nicola Zingaretti, – rimane quella del “al voto subito”.

La priorità, ha fatto notare Renzi nell’intervista concess a Maria Teresa Meli, è “evitare lo scatto dell’Iva. Vanno trovati 23 miliardi di euro. Perché un commerciante deve pagare la recessione che l’aumento dell’Iva comporterà? Che colpa ne ha quel commerciante se Salvini si è stancato di Toninelli? Che Toninelli sia incapace noi lo diciamo da anni. Salvini se ne è accorto solo adesso? Se votiamo subito l’Iva va dal 22 al 25%? Prima togliamo le clausole e poi si vota”. Va bene, cosa ne pensano dentro il Pd?

Non la vede bene l’ex ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, che si immagina una specie di Armata Brancaleone. “Governo tecnico per qualche mese, votato dal Pd, dal M5s e Forza Italia. Per fare cosa? La manovra più dura degli ultimi anni. Prendere qualche mese per fare un partito? Bisogna fermare Salvini ora e farlo insieme, mobilitando il Paese, è il momento del coraggio e non dei tatticismi”, avverte Calenda. Più duro il consigliere capitolino Giovanni Zannola: “intervista stucchevole di Matteo Renzi. Ancora una volta mette lui e il suo destino davanti a a tutto e lo fa raccontando la storiella del ‘prima gli italiani’. Esattamente come fa l’altro Matteo (quello da combattere).

E se un altro giovane, questa volta il renzianissimo Luigi Marattin chiede di aspettare ad andare alle urne perchè “andare al voto subito significa aumentare le imposte di 23 miliardi”, un padre nobile del Pd come Pier Luigi Castagnetti ribatte: “No caro Luigi, la Manovra la devono fare loro e non altri mentre loro stanno a godersela in campagna elettorale”. Una risposta, quella di Castagnetti, anche a Dario Franceschini che sembra aprire all’idea di Renzi: “Invito tutti, nel Pd, a discutere senza rancori e senza rinfacciarsi i cambiamenti di linea. Io lo farò”, scrive Franceschini su
Twitter innescando una lunga serie di proteste tra cui quella di Stefano Esposito, dirigente di area Orfini già vicino a Renzi: “Un governo Pd-M5s sarebbe l’ennesimo errore”.

Le critiche più dure arrivano però dalla base del partito che sui social fa muro contro l’idea di un governo Pd-M5S. Per Massimo D’Antoni, infine, “la mossa di Renzi prova ad ammazzare in un colpo M5s e Pd zingarettiano”. Di sicuro domani, alla conferenza dei capigruppo andrà il dem di provata fede renziana Andrea Marcucci, che proprio due giorni fa, dalle colonne di Fanpage sosteneva la necessità di un governo di transizione. Il no più pesante all’idea di Renzi è però quello del segretario dem, Nicola Zingaretti. “Ho ben chiara la minaccia dell’iniziativa di Salvini, addirittura per la tenuta della democrazia liberale, ma il sostegno a ipotesi pasticciate e deboli ci riproporrebbe ingigantito lo stesso problema tra poche settimane. E con franchezza dico no a una esperienza di governo Pd-M5s per affrontare la drammatica manovra di bilancio e poi magari dopo tornare alle elezioni”.

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