Non è a Roma la chiave di volta per spiegare quanto sta accadendo, bensì a Strasburgo. E non è il mese di agosto quello decisivo, bensì quello precedente, in particolare nel giorno 16, il giorno del voto al Parlamento Europeo che elegge Ursula von der Leyen alla guida dell’Unione Europea con il concorso (determinante) dei voti del M5S. Metà luglio a Strasburgo dunque, cioè il momento che ha cambiato il corso della politica nazionale e che, con elevata probabilità, ci condurrà presto alle urne. Perché quel voto e così importante e perché Salvini reagisce come stiamo vedendo? La risposta c’è ed è riassumibile in tre elementi piuttosto semplici.
Punto primo: quel voto segna una vittoria del premier Giuseppe Conte, che riesce ad entrare nel gioco “grande” a livello europeo portandosi dietro il partito che l’ha voluto per primo a Palazzo Chigi, riuscendo cosi a trasformare (almeno in parte) il disastroso risultato del M5S nelle urne in un successo politico dentro il “palazzo”. Così facendo però il premier avvalla la linea che vuole il fronte sovranista fuori da tutto, con evidente messa all’angolo proprio di Salvini. Punto secondo quel voto indica chiaramente che l’asse Berlino-Parigi vince il primo round della partita continentale, relegando i sovranisti non solo ai margini del potere, ma addirittura provando a fare di loro una “bad company” alla mercé dei russi (si veda ai casi Strache e Savoini).
Punto terzo quel voto apre le danze autunnali delle leggi di Bilancio, rendendo Conte e Giovanni Tria interlocutori privilegiati delle nuova Commissione, quindi più forti nell’impostare una manovra finanziaria assai lontana dai desideri del leader della Lega. Insomma a Strasburgo non si è soltanto eletta la prima donna al vertice dell’Unione europea, ma si è anche avviata la pratica per ridimensionare (nella migliore delle ipotesi per lui) l’uomo politico più votato d’Europa, cioè il ministro dell’interno della Repubblica Italiana.
Salvini accusa il colpo, anche perché la vicenda Savoini (uscita pochi giorni prima del voto a Strasburgo, ma guarda un po’) gli occupa le giornate e gli corrode l’umore. Poi ci pensa su e ai primi d’agosto reagisce, trasformando una innocente (si fa per dire) settimana al Papeete di Milano Marittima nella trincea leghista e sovranista. Così facendo coglie di sorpresa sia Conte che Luigi Di Maio, ormai convinti di aver chiuso la finestra elettorale (almeno per l’anno in corso). Ora la situazione è quasi giunta al punto di non ritorno, perché Salvini ha preso coscienza della morsa che sta per stringergli il collo fino a soffocarlo. Da un lato l’asse Roma (Mef e Palazzo Chigi)-Berlino-Parigi-Bruxelles, pronto a fare coriandoli delle sue idee su tasse e legge di bilancio.
Dall’altro il voto di settembre sulla riforma Fraccaro che riduce di un terzo i membri del Parlamento, con conseguente impossibilità tecnica di andare al voto prima di sei mesi (per non parlare del fatto che Pd, M5S e Fi sono già pronti a votare una legge ancor più proporzionale di quella che c’è, con l’unico scopo di colpire proprio Salvini). Insomma il leader della Lega non sta giocando una battaglia di convenienza ma, per quanto paradossale possa apparire per uno che ha quasi il 40 % dei consensi, in gioco è la sua sopravvivenza.
Per questo ha sguainato la spada ed iniziato a menare fendenti, trovando un solo vero alleato, cioè il segretario del Pd Nicola Zingaretti (che non vuole le riduzione del numero dei parlamentari e non vede l’ora di mettere mano alle liste elettorali per liberarsi dell’ingombrante pattuglia renziana). Zingaretti che però è preziosissimo in questa fase per un semplice motivo: è l’unico che può provare a “convincere” il Capo dello Stato.
E scusate se è poco.
P.S. l’asse con Zingaretti è nelle cose e non necessita nemmeno di un sms di conferma tra i diretti interessati.