Matteo Salvini può aprire la fase due, quella della proposta analitica e non solo di pancia, dopo le proteste e le adunate di piazza? Secondo Fiamma Nirenstein sì, partendo da ciò che distingue il dna della Lega da quello del M5s: l’esperienza amministrativa al nord e il pragmatismo dei suoi dirigenti. La giornalista e scrittrice, già deputata per il Popolo della Libertà e Vicepresidente della Commissione Affari Esteri, attualmente è Senior researcher presso il noto think thank israeliano Jerusalem Center for Public Affairs (JCPA) e nel 2011 è stata inserita nella lista, che ogni anno compila il quotidiano Jerusalem Post, dei “50 ebrei più influenti del mondo”.
Formiche.net l’ha raggiunta a Gerusalemme per analizzare la crisi di governo, gli effetti sulla politica estera e l’antisemitismo che sta preoccupantemente riaffiorando in Ue.
Ieri è intervenuta alla tv israeliana per spiegare che Matteo Salvini non è un fascista: con quali argomenti?
Spesso tv e giornali israeliani usano la parola populista come una spada, facendo di ogni erba un fascio tra Lega e M5S. Qui il termine populista fa rima con fascista anche perché i sette ottavi dei media sono di sinistra e orientati su posizioni anti Netanyahu. Uomo coltissimo il premier, figlio di un grande storico e fratello di un commediografo: tuttavia qui si tende spesso ad assimilarlo alla categoria del populismo di cui ritengono che il capostipite contemporaneo sia Trump. Noto la tendenza ad una criminalizzazione internazionale di ciò che prima si chiamava destra e che oggi invece viene tacciata di populismo. Tra l’altro qui si ignora che il populismo nasce di sinistra…
Come ha replicato?
L’unico modo è spiegare la genesi di una storia economica, di una contingenza geopolitica che fa dell’Italia un molo naturale nel Mar Mediterraneo, dove l’Europa ha funzionato solo come strumento di vessazione burocratica senza sostenere al contempo l’economia nazionale caduta nel baratro dopo la crisi che è coincisa con la guerra siriana. Ma il punto è un altro.
Quale?
Che in questo governo hanno convissuto due forze che hanno siglato un contratto privato e non politico. Sono state due forze totalmente diverse: nonostante vi siano alcuni aspetti della Lega che non condivido, però osservo che agli occhi degli italiani può vantare l’aspetto rassicurante di avere ottimi amministratori al nord, legati alla borghesia produttiva e ai mestieri. Mentre il M5s è lo sradicamento impersonificato, la movida inventata con indubbia intelligenza da Casaleggio per portare al potere gente con duecento like. Mi preoccupa il fatto che tra di loro vi sia chi crede alla teoria delle cospirazioni, chi è legato al terzomondismo sovietico, chi critica le classi dirigenti senza cognizione di causa.
Le non posizioni del governo italiano su dossier strategici di politica estera (Venezuela, Israele, Iran, Cina, Russia) sono un deterrente per il M5s?
La politica estera italiana è molto confusa: dovrebbe chiarire presto i suoi obiettivi nei confronti dell’Europa. Un atteggiamento lamentoso non serve a molto. Sul Venezuela hanno commesso molti errori, su Trump e la Russia si balla due matrimoni. Più in generale, è venuto il momento che il disegno diventi più chiaro.
Allude alla fase due del salvinismo?
Matteo Salvini può aprire la fase due, quella della proposta analitica dopo quella di pancia, dopo le proteste e le adunate di piazza. Deve ri-perimetrare la sua strategia in Ue, in un momento pericolosissimo dove Bruxelles rischia di andare in rovina. Quando se la prende con gli ebrei, l’Europa mostra una mancanza di sanità mentale. Riscontro un nuovo antisemitismo che riaffiora, mentre l’Europa vota all’Unesco che Gerusalemme è retaggio del popolo arabo e sta per avere un Commissario agli esteri come Josep Borrell che accetta di convivere con le rivendicazioni palestinesi. Mi spiace davvero che non se ne parli abbastanza.
Come attuare questa trasformazione?
Forse Salvini potrebbe immaginare di staccarsi, con coraggio, da questo suo stile: ce la potrebbe fare. Non è solo la folla arrabbiata quella che lo vota, vedo anche un mondo di imprese e lavoratori a cui deve fare riferimento. Sul punto credo sia utile guardare a ciò che accade negli Usa: oltre a Trump e al suo modo artificioso con cui spesso è difficile confrontarsi, convive un gruppo di intellettuali che in Italia non abbiamo. Penso a Davis Hanson, penso alla memoria di Bernard Lewis, o in Inghilterra con Douglas Murrey: un’intellettualità conservatrice che potrebbe essere utile al progetto politico di cui qui in Israele ci sono molti esempi, come Dore Gold a capo del Jerusalem Center for Public Affairs (Jcpa). Per cui dalla pancia si dovrebbe passare anche ai neuroni e all’elaborazione.
Un invito al vicepremier?
Salvini, personaggio brillante e forte, ha adesso la possibilità di lavorare senza il M5S e ha in Berlusconi la possibilità di avere un gancio con il centro. Di FdI non so. So però che la visita di Gianfranco Fini a Gerusalemme ebbe un significato notevole perché riprese il filo del dialogo europeo con Israele. Poi non ce l’ha fatta, tanto è vero che l’Europa ha seguitato a comportarsi malissimo. Osservo che in occasione della sua visita a Gerusalemme, Salvini è stato molto bravo: ha espresso il desiderio di avere un Istituto di Cultura qui, anticamera ad una ambasciata. Trump lo ha fatto, non vedo perché non dovrebbe farlo l’Italia.
In Italia la campagna elettorale toccherà ovviamente anche il tema migranti, a cui ha dedicato un libro a più voci, curato dal think-thank “Jerusalem Center for Pubblic Affair”: con quale perimetro?
Anche qui Salvini ha la grande occasione di passare alla seconda fase: quella dell’elaborazione delle soluzioni ragionando per analisi fenomenologiche più che per ideologie. In quel testo ho incluso un mio colloquio con Asa Kasher, filosofo morale, autore del “Manuale di comportamento dell’esercito israeliano”, certa che la questione migranti non si possa affrontare solo dal punto di vista politico.
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