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Salvini fa indietro tutta. Crisi congelata o solo bluff? Ora tocca a Conte

Marcia indietro. Al Senato Matteo Salvini ha giocato un’ultima carta. Per giorni ha gridato all’inciucio Pd-M5S e accusato Luigi Di Maio di voler prendere tempo con il voto sul ddl Taglia Poltrone, “un salva-Renzi” scriveva solo ventiquattro ore fa. Ora il leghista ha cambiato idea. Voto subito sul provvedimento, poi ritorno alle urne, è la proposta lanciata dallo scranno di palazzo Madama. Una boutade per togliere ai Cinque Stelle ogni alibi in campagna elettorale. Che però semplicemente non si può realizzare. Perché, nota su twitter il costituzionalista e deputato dem Stefano Ceccanti, “calendarizzando Conte in aula per il 20 da lì in poi si apre la crisi e sono possibili solo atti dovuti”. “Non ho capito la mossa di Salvini – confida a Formiche.net il costituzionalista Alfonso Celotto – così ritorna la stessa confusione che ha regnato sovrana fra marzo e maggio 2018 prima della nascita del governo Conte”.

La retromarcia di Salvini sarà anche efficace sul piano narrativo, ma semplicemente non ha alcuna attinenza alla realtà. Se fino a ieri il leghista tremava di fronte al voto sulla riforma è perché ha tempi lunghissimi. Richiede un referendum costituzionale, cioè un’altra campagna elettorale, un giudizio della corte di Cassazione e della corte Costituzionale. Poi bisogna ridisegnare i collegi elettorali, un’operazione tecnicamente estremamente difficile. “Tempi necessari? – twitta un altro costituzionalista, Francesco Clementi – almeno fino ad aprile-giugno 2020”. Anche perché, delle due l’una: “o consenti il completamento dell’iter della riforma costituzionale per la sua eventuale entrata in vigore (e si parla di almeno aprile 2020) oppure voti con l’attuale legge senza che la riduzione dei parlamentari sia davvero in vigore”.

L’esito paradossale, adesso, è che sulla tanto vituperata riforma taglia poltrone vanno tutti d’amore e d’accordo, almeno a sentire i vertici di partito. Vittoria per Luigi Di Maio? “Dopo le proteste dei cittadini nelle piazze e sui social la Lega ha ceduto sul taglio dei parlamentari” si limita a chiosare su facebook. Poi rilancia: “abbiamo fatto 30, facciamo 31!”. La prossima tappa di questa surreale crisi agostana, a sentire Di Maio, è il taglio degli “stipendi di deputati e senatori”. Infine un monito sulle urne: è “il presidente della Repubblica il solo ad indicare la strada per le elezioni. Gli si porti rispetto”.

La seduta al Senato si è conclusa come da pronostici. La modifica del calendario chiesta da leghisti e azzurri non passa. L’aula ha confermato dunque l’iter già votato dalla conferenza capigruppo questo lunedì. Conte riferirà il 20 agosto. Sarà la resa dei conti. Chi ha già avuto un’anteprima del discorso scritto di pugno dal premier sa che si tratterà di un durissimo attacco al leader leghista, responsabile del blackout anticipato di governo.

L’asse con i Cinque Stelle c’è in Parlamento. Resta da capire se e come possa trasformarsi in una maggioranza stabile. Un’operazione non facile. Il problema è anzitutto politico. Molti fra i big del Movimento diffidano dell’ex premier dem. Perfino il fondatore Beppe Grillo ha chiarito che il vero interlocutore al Nazareno dev’essere Nicola Zingaretti. Una dolce illusione. Renzi controlla i gruppi, detta la linea in aula. E ha già fatto capire di non gradire l’unica via indicata dai Cinque Stelle per prolungare la legislatura: un Conte-bis.

È la soluzione più semplice, e la meno digeribile politicamente per i dem. È la più semplice, perché consegnare palazzo Chigi a una figura esterna in un momento così delicato rischia di aggravare l’instabilità del Paese e rende un’incognita la transizione. Ci sono ritmi e scadenze internazionali che Conte può gestire con più facilità, dopo un anno di esperienza. A partire dalla delicata partita della nomina italiana per un commissario europeo, che dovrà essere indicato al Consiglio Europeo entro fine agosto. È la meno digeribile, tant’è che Renzi ha già calato il sipario. “Conte non ha brillato” ha detto in un’intervista alla vigilia del voto in aula.

Fra i Cinque Stelle c’è chi teme un cul de sac. “Se parte un governo di centro-sinistra dura 4 anni sicuro – è il ragionamento che si fa in queste ore. Ma i numeri in Parlamento sono risicati e una maggioranza M5s-Pd non può reggere tanto. Per questo, più che un governo “di scopo”, “Grillo vorrebbe un accordo organico con il Pd”. Ma, confessa una voce interna al Movimento, “alcuni dei nostri big vogliono il voto”.

La crisi a questo punto sarà gestita da Palazzo Chigi e dal Quirinale. Non è escluso che Conte, concluse le sue comunicazioni il 20, si rimetta nelle mani del presidente Sergio Mattarella. Salendo al Colle eviterebbe la mozione di sfiducia leghista, togliendo a Salvini, che in quell’occasione potrebbe giocarsi la carta del ritiro di ministri e sottosegretari leghisti, l’ultima chance di dettare tempi e modi della frattura. Conte allora sarà un presidente dimissionario, non sfiduciato.

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