Dal Venezuela all’Iran, passando per la sicurezza delle reti 5G, nuovo fronte da presidiare nella società digitale, la Lega conferma la sua piena sintonia con le posizioni di Washington, che prova a tradurre in azioni di un governo diviso su (quasi) tutti i principali dossier.
Parlando al Corriere della Sera, il vice premier Matteo Salvini è tornato a pungolare il Movimento 5 Stelle spiegando che sì, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti ha incontrato l’ambasciatore Usa Lewis Eisenberg e rimarcando che lo stato del rapporto con gli Stati Uniti è “ottimo”. Ma, ha avvertito, l’amministrazione americana si aspetta dall’Italia segnali concreti, ad esempio sulla auspicata opposizione di Roma al regime di Nicolás Maduro e sul suo sostegno al presidente dell’Assemblea nazionale del Venezuela, Juan Guaidó (“qualcuno nel governo frenato”, dice Salvini), così come nei confronti dell’Iran, con il quale cresce la tensione (ad esempio nello stretto di Hormuz), o sul tema della Cina e del Golden power.
IL FRONTE DEL 5G
Proprio quest’ultimo punto è ritenuto particolarmente delicato da Washington, che da qualche tempo sta conducendo una campagna di sensibilizzazione per convincere i propri alleati a tenere fuori dallo sviluppo del 5G nazionale aziende cinesi come Huawei, posta negli Usa in una lista nera del Dipartimento del Commercio perché sospettata di poter essere un potenziale veicolo di spionaggio per conto di Pechino (soprattutto per effetto di una legge nazionale sull’intelligence che la costringe a collaborare con la madrepatria.
Sull’argomento la risposta italiana agli auspici americani è stata finora deludente. Dopo un decreto legge che a febbraio – sull’onda dei timori sollevati per l’adesione italiana alla nuova Via della Seta – ha incluso anche il 5G nella disciplina dei poteri speciali dello Stato in settori nevralgici per la sicurezza nazionale, un secondo provvedimento – che modifica misure di controllo, poteri di veto, obblighi di notifica e di istruttoria per l’esercizio del Golden power – è destinato ad arenarsi in Parlamento, e, dopo lo stop pentastellato, con molta probabilità non sarà convertito e decadrà alla sua scadenza prevista nella prima decade di settembre. Mancano ormai i tempi e le condizioni per trasformarlo in legge.
IL NODO SICUREZZA
Eppure i cambiamenti introdotti dal decreto sono considerati cruciali dagli esperti. Ad esempio il testo eleva da 15 a 45 giorni il periodo durante il quale, ai fini dei poteri speciali, il governo può esercitare un eventuale veto o l’imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni anche su determinata componentistica. Quindici giorni sono considerati troppo pochi per analizzare qualsivoglia apparato, tanto più in assenza di una struttura nazionale come il Centro di Valutazione e Certificazione Nazionale, il Cvcn, non ancora operativa. Questa la situazione che a breve ci si troverebbe a fronteggiare.
LA SPINTA LEGHISTA
Ma la sicurezza, ha ricordato Salvini nella sua intervista al quotidiano di Via Solferino, “viene prima del business”. Si tratta innanzitutto di un messaggio al Movimento 5 Stelle, fautore di una “special relationship” tra Roma e Pechino, e sempre molto sensibile alle istanze di un colosso cinese come Huawei. Le parole, però, non risolvono il problema. Per questo in Italia (e negli Stati Uniti) ci si attende che l’impegno politico del vicepremier leghista e di Palazzo Chigi (con Giuseppe Conte che – ha evidenziato Formiche.net – oltre ad aver tenuto la delega all’intelligence, rappresenta anche la personalità di raccordo con la politica d’oltreoceano) sia quello di trovare con determinazione, prima che il decreto legge decada, la soluzione migliore per far sì che l’Italia – come ha ricordato su queste colonne il giurista Giovanni Guzzetta – possa non trovarsi di fronte a un pericoloso vuoto normativo.