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Una spy story per lo Spazio italiano? Gli interrogativi di Spagnulo

L’incidente del Vega, di cui abbiamo già scritto su Formiche, è stato pressoché ignorato dai media nazionali, con la sola eccezione del quotidiano La Verità che, subito dopo il lancio, si chiedeva se l’episodio potesse inserirsi in un complesso quadro geopolitico. Ancora oggi la commissione d’inchiesta formata a Parigi non ha emesso comunicazioni ufficiali, però Repubblica ha pubblicato ieri l’articolo “Quel razzo italiano perso nell’Oceano e (forse) sabotato”, in cui tratteggia degli elementi di una vera e propria spy story internazionale nella quale potenze straniere (Usa, Israele e addirittura Iran) avrebbero – il condizionale è d’obbligo – potuto aver interesse a sabotare il lanciatore italiano per impedire la messa in orbita di un satellite spia strategico per gli Emirati Arabi.

Nell’articolo non vi sono ovviamente né prove né certezze in tal senso, e il tutto sembrerebbe essere uno stimolante pezzo di fine estate per il lettore assorto sotto l’ombrellone e risvegliato dal richiamo di una spy story nostrana. Però, bisognerebbe chiedersi come mai un articolo con ipotesi così delicate venga pubblicato proprio nel pieno di una complicata crisi politica italiana i cui esiti potrebbero essere dirimenti per la direzione strategica del nostro Paese verso una dimensione ancora più europeista rispetto a un’altra più atlantista. E nell’articolo citato è proprio evidente l’immagine bipolare del contesto geopolitico che sembra pararsi dinanzi al nostro Paese, ovviamente sempre parlando in termini “spaziali”: da un lato dei Paesi – Usa e Israele – che non si farebbe scrupolo di sabotare un missile italiano lanciato da una base francese pur di contenere le mire strategiche arabe, e dall’altro dei Paesi europei (Francia) che scontano, come l’Italia, il danno subìto dall’incidente del Vega.

Nell’articolo infatti si evidenzierebbe il possibile fastidio di Parigi per il fatto che il satellite finito in mare fosse un prodotto del suo export commerciale da sempre in concorrenza con gli Usa e che, essendo il Vega stato assemblato nella propria base della Guyana, un eventuale caso di sabotaggio rappresenterebbe un’ombra sulla sicurezza del sito stesso. Il tutto sembra avere una sua logica consequenziale e quindi il lettore non può che vedere quindi rafforzata sia la sua posizione che chiameremo per semplicità anti-Trump, sia la sua affinità politica con i cugini d’oltralpe, nel solco della linea editoriale del quotidiano che ha pubblicato l’articolo.

Eppure, al lettore un po’ più avveduto resta un retrogusto di superficialità nell’introiettare sic-et-simpliciter tale ipotesi, come se tutta la consequenzialità delle deduzioni che portano a puntare il dito verso dei precisi colpevoli – ovviamente presunti – non fosse in qualche modo permeata da una sensazione che si voglia far guardare il dito e non la Luna dietro a esso. Possono venirci in aiuto le parole che Antoine de Saint-Exupéry, scrittore e aviatore francese, fa ripetere al suo Piccolo principe nel bellissimo omonimo racconto, e cioè che “l’essenziale è invisibile agli occhi”. Pertanto proprio nella ricerca dell’essenziale andrebbe letta anche la spy story che riguarda il lanciatore italiano Vega, e non solo.

Occorre quindi ripercorrere brevemente la cronologia di alcuni avvenimenti del luglio scorso per contestualizzare i fatti. Il giorno 11 il missile italiano si inabissa nell’Oceano; il giorno 12 si spegne per sei giorni l’intera costellazione dei 22 satelliti europei Galileo – costata ai contribuenti più di 10 miliardi di euro – che fornisce segnali di localizzazione e radionavigazione (il tutto senza alcun comunicato ufficiale sulle cause da parte delle autorità europee, ma con i media tedeschi che puntano il dito contro la stazione di controllo italiana del Fucino rea, secondo loro, di aver inviato un erroneo aggiornamento del software di bordo); il giorno 13 in un atteso quanto breve discorso all’Hotel de Brienne, il presidente Emmauel Macron espone in 50 secondi la strategia francese di militarizzare lo Spazio con sistemi satellitari di protezione e soprattutto di attacco.

La geopolitica dello Spazio si estrinseca anche in questi eventi avvenuti nell’arco di soli tre giorni, e leggere quindi l’articolo del quotidiano italiano sulla spy story del Vega come un accadimento a sé stante con presunti “cattivi” da una parte e, sempre presunti “buoni” dall’altra, potrebbe essere fuorviante. Una falla nella sicurezza del sito di lancio di Kourou nella Guyana francese è possibile, ma sicuramente molto, molto difficile da attuare. Chi scrive ha lavorato a lungo in quella base negli anni ’90, partecipando a numerose campagne di lancio dell’allora lanciatore Ariane 4, e pur non escludendo le possibilità delle nuove tattiche cibernetiche di hackeraggio, ciò che rende perplessi è la mancanza di informazioni ufficiali sui dati di volo del Vega e che non possono certo essere rimpiazzate da un articolo di un quotidiano.

Il 24 gennaio 1994 il motore HM-10 del terzo stadio dell’Ariane 4, decollato dalla Guyana, si arrestò poco dopo l’accensione per una messa a freddo tardiva di un giunto della turbopompa a ossigeno liquido. In quel momento, mi trovavo nel centro di Telemisura Ariane su una collina a qualche chilometro dalla base di lancio e ben distante anche dalla sede del Cnes a Kourou dove erano radunati ospiti, giornalisti e vip che osservavano su grandi schermi la proiezione della traiettoria del missile. Quando l’incidente ebbe luogo, quegli schermi si spensero, ma sulle consolle dei computer nel piccolo centro di controllo in cima alla collina circondata dalla giungla amazzonica, i dati della telemetria continuarono a scorrere freneticamente mostrandoci cosa stava accadendo. I dati della pressione e della temperatura del motore si erano interrotti all’improvviso, mentre i parametri di assetto sui tre assi del lanciatore divergevano all’impazzata e i valori di velocità e di altitudine diminuivano a vista d’occhio. Dopo una frenetica analisi (durata meno di un’ora) dei chilometrici fogli stampati con tutte le stringhe di dati il problema parve subito riconducibile a un blocco improvviso del motore e in particolare di una delle due turbopompe, anche se ovviamente non fu possibile all’istante determinarne le cause precise, cosa che avvenne con maggiore chiarezza nelle 24 ore successive. C’è qualcuno che ha vissuto un’analoga situazione durante il volo del Vega lo scorso 11 luglio?


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