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Così Tria e Cottarelli si contendono lo scettro dell’Economia

È qualcosa di più rispetto a un duello sui conti pubblici quello andato in scena nei giorni scorsi tra Carlo Cottarelli e Giovanni Tria. L’ex economista del Fmi e commissario straordinario alla spending review nei mesi passati non aveva mai fatto venire meno il sostegno al ministro dell’Economia, soprattutto quando cercava di mettere il dibattito governativo dentro i binari delle compatibilità economiche e delle regole europee.

Ma ora qualcosa si è rotto. Giovanni Tria nei giorni scorsi ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera dai toni insolitamente ottimistici nella quale ha sostenuto che ci sono “margini di manovra” per il governo visto che “anche a leggi vigenti, senza altre misure, il deficit per il 2020 sarebbe sostanzialmente inferiore al 2,1% del Pil”, previsto dall’esecutivo. Tradotto, con la prossima legge di Bilancio c’è la possibilità di attuare una riforma fiscale (quella che vorrebbe Tria consiste in una rimodulazione delle aliquote centrali dell’Irpef).

A distanza di una giornata la replica dell’ex economista del Fmi e commissario straordinario alla spending review. Vero, dice Cottarelli a Tria, che il deficit resterà sul livello concordato con Bruxelles grazie ai due interventi sui saldi, in particolare quello di giugno. Ma dicendo “a legislazione vigente” il ministro “vuole dire incluso l’aumento dell’Iva”. Cottarelli ha voluto sottolineare che dietro le dichiarazioni di Tria si possa celare o la volontà di aumentare l’Iva, oppure una prudenza estrema nell’indicare dove trovare quei 23,1 miliardi di euro che servono a disinnescare le clausole di salvaguardia.

Non sorprende che nel dibattito, molto prematuro, Tria e Cottarelli siano stati entrambi tirati in ballo. Traghettatori verso nuove elezioni, garanti dei conti e della ordinaria amministrazione in qualità di presidenti del Consiglio di un governo transitorio. Oppure ministri di un governo giallorosso, nella casella dell’Economia. Entrambi i contendenti sono graditi al Quirinale (Cottarelli aveva già ricevuto un incarico da Sergio Mattarella per formare un governo prima dell’intesa tra Lega e Cinque Stelle). Entrambi giocano sullo stesso campo perché sono in grado di dare garanzie ai mercati e anche alle istituzioni europee.

Ma forse nessuno dei due interpreta lo spirito del tempo. Se l’Europa pensa veramente di rivedere il Patto di stabilità, forse è arrivato il tempo di un ministero dell’Economia più politico. Ad esempio il senatore del Pd Antonio Misiani. Un politico di stretta osservanza dem, membro del Nens, il pensatoio economico fondato da Pier Luigi Bersani e Vincenzo Visco. Nome spuntato nelle ultime ore, esponente di un mondo che non è né quello di Tria né quello di Cottarelli.


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