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Alta tensione fra Russia e Usa. In arrivo nuove sanzioni. Ecco perché

Negli Stati Uniti gli apparati profondi non mollano il caso Skripal e portano la Casa Bianca ad approvare un secondo round di sanzioni contro la Russia per aver usato un agente nervino, il novichok, nel tentativo di assassinare Sergei Skripal  — un’ex spia russa — e sua figlia Yulia. Era il 4 marzo 2018, a Salisbury, in Inghilterra.

Una nota stampa del dipartimento di Stato spiega che ai sensi del Chemical and Biological Weapons Control and Warfare Elimination Act del 1991, questa seconda serie di sanzioni si lega al fatto che l’attacco — di cui è responsabile il servizio segreto militare, Gru, con tanto di nomi dei responsabili individuati — ha messo in pericolo migliaia di vite a Salisbury e Amesbury, causando il ricovero ospedaliero degli Skripals, di un ufficiale di polizia britannico e di due civili, uno dei quali successivamente morto per l’esposizione.

Il provvedimento diffuso ieri ha contorni piuttosto severi, sebbene nella sostanza può morbido. Le nuove sanzioni hanno valore 12 mesi, ma potranno essere rinnovate. In particolare, gli Stati Uniti annunciano che faranno opposizione all’estensione di qualsiasi prestito o assistenza finanziaria o tecnica alla Russia da parte di istituzioni internazionali, come la Banca mondiale o il Fondo monetario internazionale — e non è poco, considerando il peso che gli Usa hanno nei due organismi. Poi è stato vietato alle banche statunitensi di partecipare al mercato primario per il debito sovrano russo e sono state aumentate le restrizioni sulle licenze di esportazione per beni e tecnologie controllate dal dipartimento del Commercio. Tutti campi che non alterano più di quanto già è l’economia russa: pare he le sanzioni “siano state scelte sulla base della loro capacità di essere innocue”, commenta Andrei Movchan del Carnegie Russia.

Secondo le ricostruzioni dei media più informati, la decisione di applicare queste nuove sanzioni sarebbe stata presa dalla Casa Bianca su pressione del Congresso, che sulla Russia ha posizioni più classicheggianti del presidente. Il giorno precedente alla firma sull’executive order sanzionatorio, Donald Trump ha avuta una “buona” (come l’ha definita) conversazione telefonica con Vladimir Putin, in cui ha offerto alla Russia l’aiuto Usa per gli incendi in Siberia.

Gli apparati statunitensi non trattano il dossier russo allo stesso modo: per lo Studio Ovale, parte dei suoi strateghi e della business community è importante il contatto e l’apertura per evitare lo scarrellamento definitivo di Mosca verso la Cina; Pentagono, intelligence e Congresso hanno una linea più legata al trascorso ideologico dei rapporti, dove la Russia è vista come un nemico. Questa settimana, la Commissione Affari esteri della Camera ha inviato una lettera — firmata bipartisan — alla Casa Bianca per chiedere che venisse implementato il piano sanzionatorio previsto dal dipartimento di Stato e dal Tesoro col primo round dei provvedimenti. Azione su cui Trump ha rallentato per diverso tempo.

Dopo le prime sanzioni dell’agosto 2018, il dipartimento di Stato aveva dato alla Russia 90 giorni per dimostrare la volontà di non usare più armi chimiche, ma Mosca — che continua a negare il coinvolgimento sul caso Skripal anche con artifici propagandistici grossolani — se n’è infischiata dell’ultimatum. A quel punto a novembre sarebbe dovuto scattare il secondo round delle sanzioni, ma tutto è restato fermo. La frustrazione dei congressisti per la situazione, pubblica dopo la lettera di qualche giorno fa, è stata manifestata in forma meno diretta anche con la promozione, a metà febbraio 2019, del Defending American Security from Kremlin Aggression Act, un’ampia legge scritta dal repubblicano Lindsey Graham per creare un firewall difensivo contro le aggressioni russe (anche in vista delle campagne di infowar cui potrebbero essere soggette nuovamente le presidenziali nel 2020).

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