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Perché non votare rivela mancanza di senso dello Stato. Il j’accuse di Ippolito

Stamani Giuseppe Conte riceve da Sergio Mattarella l’incarico ufficiale per formare il suo secondo governo. Il risultato, ben noto a tutti, è il frutto estivo della crisi creata da Matteo Salvini e conclusasi adesso con la nascita di questa nuova maggioranza, 5 Stelle-Pd, diametralmente opposta alla precedente.

Di per sé non vi è nulla di incostituzionale in questo processo. Anzi, il Presidente della Repubblica compirebbe un atto contrario alla Legge fondamentale della Repubblica se non favorisse la formazione di una maggioranza esistente, quale essa sia, quando essa c’è. Ma il ruolo preciso assegnato al Quirinale e perseguito con ortodossia da Mattarella non chiarisce comunque il dilemma oscuro invece sull’opportunità politica dell’operazione in atto.

Questa è ovviamente una valutazione che riguarda solo ed esclusivamente la politica: dunque non le istituzioni.

Perciò, al di là dei giudizi soggettivi, molti dubbi ed inquietudini assalgono necessariamente la mente. Primo tra tutti la scelta dei grillini di optare per un sistematico tradimento dei propri valori fondanti, basati sulla democrazia diretta e perfino su quell’eccesso di essa che è la logica del vincolo di mandato: tutti propositi cestinati e abbandonati in un momento.

Secondariamente, interrogativi lacunosi relativi ai democratici, i quali hanno scelto di salire sul carro dei vincitori, pur avendo avuto chiaramente prove elettorali ripetute di non esserlo.

In tal senso, l’abbandono del partito di Carlo Calenda rappresenta proprio la denuncia più grave, rivolta specificamente ai renziani, del trasformismo consumatosi a sinistra nei palazzi romani in questi giorni caldi di agosto.

Il punto vero, dunque, non è l’errore compiuto da Matteo Salvini, che tale è stato e molto grave, e tale resta; e nemmeno l’estrema necessità che si è sentita in molti ambienti di eliminare i leghisti dai prosaici palazzi del potere, perché reputati personaggi pericolosi di per sé e antropologicamente inferiori.

No, il vero dramma desolante è piuttosto la completa assenza di senso dello Stato con cui si è sviluppata la dialettica e la formazione di questo asse di sinistra.

Senso dello Stato vuol dire rispetto dei cittadini, delle loro istanze di consenso e delle motivazioni reali del successo con cui le politiche di sicurezza e di gestione severa dell’immigrazione sono state accolte dalla gente, e che adesso verranno prontamente abrogate con sdegno impietoso.

In realtà, disinteressarsi a ciò che il popolo vuole, essendo il popolo lo Stato, equivale ad avere perduto la portata della democrazia sostanziale, magari credendo che si possa derubricarne il valore supremo a vantaggio di idee e principi giudicati surrettiziamente ed arbitrariamente più importanti e democratici di ciò che la gente pensa e vuole effettivamente.

La democrazia esige invece che lo Stato, ossia i cittadini, vengano prima delle idee di chi governa, prima della stessa possibilità di avere ed ottenere potere attraverso l’ossequio delle regole costituzionali.

Il senso dello Stato impone di possedere preliminarmente una vera legittimazione popolare con un mandato elettorale chiaro per poter mutare radicalmente poi la politica complessiva di un Paese. Non viceversa.

Dispiace dirlo: il governo Conte Bis è sì perfettamente legittimo, è sicuramente riconosciuto come un bene prezioso da tutti i potenti del mondo e da un’élite di parlamentari, ma per ora rivela palesemente soltanto la crisi e l’erranza della classe politica progressista e movimentista, mancante di una concezione umile del potere fondata sulla delega popolare e sul servizio al bene della nostra nazione, percepito come giusto ovunque dai cittadini reali.

Se questa è la discontinuità e la svolta riformatrice, ci teniamo volentieri la continuità e la conservazione dell’esistente.


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