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Il voto su Rousseau è una scorrettezza costituzionale. Parla Lippolis

La votazione su Rousseau? “Effettivamente è un comportamento che non risponde alla correttezza costituzionale perché la consultazione avrebbe dovuto essere stata fatta prima del colloquio con il Presidente”, ma i partiti sono associazioni private e “nessuno può impedire a un’associazione privata di fare una’assemblea o un incontro con i vertici”. È l’opinione di Vincenzo Lippolis, docente universitario e costituzionalista, intervistato da Formiche.net sulla scelta del Movimento 5 Stelle di consultare la base sull’accordo di governo con il Partito democratico.

Professore, il Movimento 5 Stelle consulterà la sua base su Rousseau sull’accordo di governo con il Partito democratico. Questa scelta di M5S non preclude le decisioni che il Presidente della Repubblica prenderà alla chiusura delle consultazioni?

Premesso che io non vedo con simpatia questo tipo di consultazioni online e anzi le giudico, in generale, negativamente perché vi è una mancanza di trasparenza – non si sa chi raccoglie i dati, chi li valuta, chi partecipa, è tutto molto opaco – e c’è un rischio di instaurare una sorta di autoritarismo informatico: si dice che è democrazia diretta però poi chi lo verifica? Ecco, per queste ragioni non vedo positivamente questo strumenti. Inoltre le forze politiche non dovrebbero solo seguire le indicazioni dei propri iscritti, ma dovrebbero anche cercare di guidare gli avvenimenti politici che si trovano di fronte, se no il risultato è una totale deresponsabilizzazione dei vertici delle forze politiche rispetto alla base.

Ecco, come si inserisce questo voto online tra consultazioni e decisioni del Quirinale?

Per quanto riguarda la situazione del governo è evidente che il Presidente Mattarella oggi vorrà una parola definitiva, l’ha detto già la settimana scorsa e questa decisione di chiedere alla piattaforma Rousseau confligge con la definitività dell’impegno che essi devono prendere con Mattarella. Anche se, c’è da notare, siamo ancora nella fase del conferimento dell’incarico a una personalità che viene individuata per formare il governo ed essere presidente del Consiglio. Nel passato ci sono stati presidenti incaricati che hanno dovuto rinunciare all’incarico, non essendo riusciti a formare un governo. Quello che Mattarella chiede a una forza politica è di essere coerente, poi se per caso il presidente del Consiglio non riuscirà a comporre un governo si vedrà, ma quello di oggi è solo un passaggio di questo lungo processo.

I passi successivi quali saranno?

I passi successivi saranno il conferimento dell’incarico, eventuali trattative tra l’incaricato e le forze politiche e poi l’incaricato che scioglie la riserva positivamente e propone la lista dei ministri. Quindi oggi non è che si chiude la partita del governo, si fa solo un altro passo.

Intravede elementi di scorrettezza costituzionale in questo iter che prevede il voto su Rousseau?

Sì, effettivamente è un comportamento che non risponde alla correttezza costituzionale perché la consultazione avrebbe dovuto essere stata fatta prima del colloquio con il Presidente. Tuttavia partiti sono associazioni private, nessuno può impedire a un’associazione privata di fare una’assemblea o un incontro con i vertici: si riunisce al direzione del Pd, si chiama a raccolta lo stato maggiore del partito oppure, nel caso del Movimento 5 Stelle, si procede con un voto online. Sotto questo aspetto non si può parlare di illegittimità, ma Zingaretti ha scelto di riunire la sua direzione prima delle consultazioni con Mattarella, non dopo come il Movimento 5 Stelle. Questa sera, comunque, il Presidente dovrebbe essere posto in grado di conferire l’incarico. Se lo conferisse, il problema dell’accordo tra le forze politiche passerà poi al presidente incaricato, non più al Capo dello Stato.

Perché?

Perché una volta ricevuto l’incarico è il presidente del Consiglio (incaricato) che conduce le trattative. Chiaramente tutto dipende da cosa deciderà Sergio Mattarella. Tutto dipenderà da quello che il Movimento 5 Stelle dirà al Capo dello Stato.

In che senso?

Un conto è che dicano: “C’è la base di un accordo con il Pd, vogliamo consultare gli iscritti”, un altro conto: “Non sappiamo se fare il governo con il Pd o no, dipenderà dal voto su Rousseau”.

Intravede un mutamento nella prassi della formazione del governo, a partire dall’anno scorso?

Stiamo assistendo a un’inversione di momenti: in passato per prima cosa si procedeva con l’incarico e poi l’incaricato doveva prendere i contatti per formare la lista dei ministri, ma sempre secondo gli equilibri politici. Mi ricordo che la stessa Dc doveva trovare un equilibrio tra le correnti per la formazione della lista. Non vedo, quindi, un grave problema nel dialogo tra i partiti sulla lista dei ministri anche prima dell’incarico. D’altra parte da questa stessa trattativa nasce proprio il nome dell’incaricato, che dovrebbe essere Conte. Costui poi non agisce di testa sua, deve tener conto del contesto politico. L’ultima parola spetta al Presidente della Repubblica, che può chiedere la sostituzione di un nome.

Come successe l’anno scorso con Paolo Savona, ad esempio?

Esatto, ma non solo, c’è una lunga serie molto nutrita di precedenti che risalgono nel tempo.



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