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Aden non basta. Come continua il conflitto in Yemen. L’analisi di Cinzia Bianco

La situazione in Yemen si complica. La coalizione che combatte dal 2015 i ribelli nordisti Houthi (sostenuti parzialmente dall’Iran) ha un ulteriore nodo da sciogliere. Gli Emirati Arabi, che nei mesi scorsi hanno lanciato un importante ritiro delle proprie truppe dallo Yemen, appoggiano più o meno informalmente le istanze di un gruppo separatista che vuole l’indipendenza nel sud del Paese. Nei giorni scorsi ci sono stati scontri armati che hanno coinvolto anche i civili ad Aden, importante città portuale affacciata sul Corno d’Africa, dove quei separatisti del Sud hanno cercato di conquistare i palazzi del governo e sono stati respinti dalle forze della coalizione a guida saudita.

Una situazione che si sovrappone alla sanguinosa guerra attuale e alle condizioni di sicurezza nel Paese che sono da anni rese molto critiche dalla presenza di gruppi jihadisti, come l’importante filiale qaedista Aqap e una fazione dello Stato islamico. “Quello che sta succedendo era prevedibilissimo, perché il ritiro delle forze ordinarie emiratine ha fatto sì che le loro milizie proxy (di cui si sono sempre fidate, anche nel momento in cui si sono ritirate) iniziassero a sentirsi le mani più libere per cavalcare le proprie istanze, che fondamentalmente ruotano da sempre attorno alla ricerca di una forma di secessione dell’area meridionale”. Spiega così la situazione a Formiche.net Cinzia Bianco, analista tra i massimi esperti della Penisola Arabica.

“Però, collegato a questo starei cauta con il definire la situazione una vittoria per gli Emirati, perché finché ci sono state le truppe emiratine sul campo Abu Dhabi ha cercato di contenere quelle spinte secessioniste, sebbene è vero che non siano contrarie ai propri interessi”, spiega Bianco: “È vero che gli emiratini sapevano che questo sarebbe successo, ed è altrettanto vero che hanno più volte fatto capire che per il loro modo di vedere le cose, la secessione meridionale sarebbe stata tutt’altro che una pessima idea, ma credo che adesso saranno molto, molto cauti a esporsi”.

Perché? “Perché dobbiamo considerare che gli scontri per il Sud vanno a complicare la guerra. E vanno anche a complicare la posizione della coalizione e dei due principali azionisti, Emirati e Arabia Saudita, sia dal punto di vista di percezione a livello globale, sia all’interno del mondo arabo. E infine vanno a complicare i rapporti tra Riad e Abu Dhabi, e diciamo che in questa fase storica non è la cosa migliore da fare”.

Ma questa situazione, allargando l’ottica alla regione, che cosa può comportare? “Se allarghiamo lo sguardo alla regione, i movimenti in corso hanno vari problemi. Per esempio, la secessione sudista che porterebbe quella parte di Yemen in mano a forze emiratine non è ben vista dall’Oman”, il Paese che condivide con lo Yemen la fascia meridionale della penisola; un territorio cruciale dal punto di vista geopolitico che si affaccia sull’Indiano e su due importanti passaggi, il golfo di Aden a est e quello dell’Oman a ovest.

“Gli omaniti vedono sempre di più Abu Dhabi come una forza ostile, e le vicende nello Yemen non migliorano questa percezione. Ma quello che potrebbe succedere non funziona nemmeno nel quadro della ricerca di un accordo politico che possa mettere fine alle ostilità con gli Houthi. Che è un obiettivo politico cercato”. Per quale ragione? “Per i ribelli del Nord sarebbe molto problematica la separazione del Sud, perché quella è la parte di Yemen più ricca di risorse, e dunque se la tagli fuori dal resto della nazione chi vive nel centro e nel nord risulterebbe ancora più impoverito”.

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