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Stop di Trump ai negoziati con i talebani. Bertolotti spiega perché

Formalmente la scusa che ha portato il presidente statunitense Donald Trump a mettere in stand by i negoziati con i Talebani è stata la rivendicazione di un’altra, ennesima sanguinosa azione terroristica compiuta a Kabul, ma “è evidente che c’è molto di più”, anticipa in una conversazione con Formiche.net Claudio Bertolotti, analista del Cemiss e direttore di Start InSight, tra i massimi esperti europei sull’argomento.

Con una serie di tweet, Trump ha fatto sapere di aver deciso di annullare un incontro con l’omologo afghano, Ashraf Ghani, è un altro separato con una delegazione talebana. Il meeting, che si sarebbe dovuto svolgere a Camp David senza troppi clamori precedenti, sarebbe stato forse il passaggio più simbolico del processo di dialogo. Un presidente Usa che dopo 17 anni di guerra contro i Taliban (accusati di aver creato in Afghanistan il centro di copertura per il terrorismo qaedista che ha squarciato l’Occidente col 9/11) parla con i ribelli.

Trump ha scritto: “All’insaputa di quasi tutti, i principali leader talebani e, separatamente, il presidente dell’Afghanistan, domenica si sarebbero incontrati segretamente con me a Camp David. Arrivano stasera negli Stati Uniti (il tweet è di sabato, tardo pomeriggio, ndr). Sfortunatamente, al fine di creare una leva falsa, hanno ammesso di aver condotto un attacco a Kabul che ha ucciso uno dei nostri grandi soldati e altre 11 persone. Ho immediatamente cancellato l’incontro e ho annullato i negoziati di pace. Che tipo di persone ucciderebbe così tanta gente per rafforzare apparentemente la loro posizione di contrattazione? Non è così, loro hanno solo peggiorato le cose! Se non riescono ad accettare un cessate il fuoco durante questi importantissimi colloqui di pace e uccidono addirittura 12 persone innocenti, probabilmente non hanno il potere di negoziare comunque un accordo significativo. Quanti altri decenni sono disposti a combattere?”.

Da mesi, gli Stati Uniti portano avanti le trattative a Doha, dove i ribelli jihadisti afghani hanno una specie di ufficio diplomatico. Ci sono stati nove incontri diretti tra talebani e americani. Gli accordi finora discussi prevedevano la riduzione della presenza militare statunitense in Afghanistan in cambio della pace. Le cose sembravano andare bene, tutto era pronto per portare Trump verso un momento da ricordare, perché avrebbe teoricamente messo fine all’impegno militare più lungo della storia statunitense, seguito una promessa elettorale del presidente, accontentato una grossa fetta di opinione pubblica.

Secondo Bertolotti, sono quattro i punti che vanno tenuti in considerazione nel rapporto causa/effetto collegato alla mossa di Trump — che così improvvisa, potrebbe essere anche una giocata da esperto negoziatore del business world. “Innanzitutto, Trump, che vuole portare a casa il risultato ai fini elettorali, potrebbe essere stato convinto a desistere dall’iniziativa”. È una nota anche sul pragmatismo trumpiano. “Certo, è evidente che con l’uccisione di un soldato Usa sarebbe stato difficile giustificare gli ospiti talebani a Camp David, soprattutto se si considera che tutto sarebbe avvenuto a tre giorni da 11 settembre”, aggiunge l’analista italiano.

E in effetti sono molte le voci scettiche che vedono nel ritiro americano l’occasione per un rafforzamento talebano nel paese (ovviamente frutto di un doppio gioco dei ribelli) e delle istanze terroristiche come quelle crescenti a targa baghdadista. “Credo che però sia anche il modo per tirare la corda e portare i talebani su un terreno meno sicuro. Dunque, Trump fa voce grossa per aumentere pressione”, dice Bertolotti. E come effetto? “Immagino che nell’immediato i Talebani possano riavviare i combattimenti contro il governo in modo più aggressivo”.

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