Il portavoce dell’Esercito nazionale libico (Lna), Ahmed al Mismari, ha il compito imperativo, ricevuto dal suo capo, il leader miliziano Khalifa Haftar, di sostenere con un’intensa propaganda aggressiva le iniziative di guerra della Cirenaica (più o meno controllata e più o meno militarmente dallo stesso Haftar).
È un compito fondamentale, perché l’Lna è piuttosto demotivato. I miliziani di quello che Haftar chiama “Esercito” – mostrando l’ambizione egemonica che l’ha portato ad aprile a cercare lo scacco su Tripoli e intestarsi il paese come nuovo rais – non combattono. Hanno la linea di rifornimento più che dimezzata, perché settimane fa hanno perso Gharyan, il centro logistico dell’attacco contro il governo onusiano. E rischiano di perdere anche Tarhuna, l’altro asse più a nord che collega il cuore haftariano, le postazioni dell’Est attorno a Bengasi, e il fronte dei combattimenti.
Oggi Mismari rilancia: “Le forze armate hanno avviato un feroce attacco” nell’area di Salah al Din, ha detto e “l’attacco è avvenuto con la copertura aerea da parte dell’aviazione (che non è di Haftar, ma operata da attori esterni per conto suo, amici che però iniziano ad essere scontenti anche loro di come stanno andando le cose a Tripoli. Ndr)” e “ha causato innumerevoli vittime tra le fila delle milizie”. Il portavoce dell’Lna ha ribadito che “le operazioni proseguiranno secondo i piani e le tappe fissati da Haftar per la liberazione di Tripoli”.
Quando Mismari parla di “milizie” e “liberazione” usa una semantica che serve a sostenere la retorica haftariana in appoggio alla narrazione centrale del wannabe-rais: inquadrare la sua campagna come una liberazione del paese dal terrorismo, definendo terroristi tutti coloro che gli si oppongono.
Questa propaganda tre giorni fa ha sbattuto contro uno statement di AfriCom, il Pentagono in Africa, con cui gli Stati Uniti hanno annunciato un bombardamento in Libia – il primo dal novembre scorso – contro otto jihadisti dello Stato islamico. La difesa americana ha detto che l’azione è stata condotto in coordinamento con il Gna, ossia il governo di Tripoli che Haftar sta combattendo, e ha definito i miliziani che difendono la capitale dalla campagna del capo miliziano della Cirenaica “Libyan partners“. D’altronde sono i misurati, gli stessi con cui gli Usa hanno liberato la Libia dalla roccaforte che faceva da fulcro della dimensione statuale baghdadista nel 2016.
Tutto arriva in una fase calda per la Libia. Il dossier sarà oggetto di interesse in una riunione speciale all’Onu, durante l’Assemblea generale, e diversi attori internazionali anche per questo hanno dimostrato un aumento di attenzione. Tutto concentrato nella richiesta di cessate il fuoco e di riavvio del processo di stabilizzazione politica (che non è un favore ad Haftar, che sta invece cercando di conquistare la guida del paese con le armi). C’è già inoltre una prossima tappa in Germania, dove sarà organizzata una conferenza il cui l’obiettivo minimo dichiarato è arrivare a far deporre le armi.