Nel suo primo Consiglio dei Ministri, l’esecutivo Conte 2 ha lanciato un segnale di attenzione sul tema 5G, esercitando i poteri speciali su alcune delle notifiche presentate dalle telco in relazione ai contratti di fornitura stipulati con fornitori di tecnologia, tra i quali figurano anche le cinesi Huawei e Zte. Ma manca una normativa che protegga in modo continuativo e strutturale le nuove reti. E nel frattempo le pressioni cinesi si fanno sentire.
CHE COSA È SUCCESSO
L’argomento è in discussione e non da oggi. Da tempo, racconta Formiche.net, gli Stati Uniti avvertono gli alleati dei pericoli derivanti dall’implementazione di apparati prodotti da compagnie cinesi come Huawei o Zte. E il pressing sui colossi di Pechino – come dimostrano le ultime accuse rivolte negli Usa al gigante di Shenzhen – non accenna a calare. Tuttavia, nonostante questa campagna di sensibilizzazione, l’Italia aveva dato finora una risposta non chiara a questi timori, adottando scelte che sono il frutto di diverse visioni in seno alla maggioranza gialloverde (con il partito guidato da Luigi Di Maio più vicino alla Cina e la Lega di Salvini contraria a un’entrata dei colossi di Pechino nelle nuove reti).
IL PRIMO PASSO DEL CONTE 2
Ieri, durante il primo CdM del governo Conte 2 è giunto invece un segnale molto chiaro di attenzione agli Stati Uniti sulla nostra affidabilità (giunto, come spesso accade, sul filo di lana), concretizzatosi con la decisione di dare disco verde all’utilizzo di queste tecnologie a patto che le telco si attengano ad alcune prescrizioni per non mettere a rischio la sicurezza nazionale.
Arrivati a questo punto si trattava infatti di una vera e propria necessità. La mancata conversione del decreto legge di riforma del golden power (ci sarebbe stato tempo fino al 9 settembre) che allungava i tempi di notifica e di istruttoria anche per l’applicazione dei poteri speciali anche per le reti, ha spinto il governo in carica ad esaminare subito la questione. In caso contrario, decaduto il decreto, ci si sarebbe trovati di fronte a un vuoto normativo, con le forniture svicolate da prescrizioni o obblighi per scadenza dei termini.
LE PRESSIONI CINESI
Le pressioni cinesi non sono tardate ad arrivare. In un commento il portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang ha chiarito che Pechino auspica che “l’Italia opti per la strategia di fiducia reciproca e mutuo beneficio fornendo le condizioni eque alle imprese cinesi per approfondire la cooperazione e portare benefici più tangibili ai due i Paesi”. Parole, molto diplomatiche, per esprimere il concetto che in Cina si guarda con molta attenzione all’esito dell’esercizio del Golden Power sul 5G e sui fornitori delle reti di nuova generazione, tra cui i colossi cinesi Huawei e Zte.
UN PROBLEMA DA RISOLVERE
Una ragione in più per agire in fretta. Dopo il segnale nel CdM di ieri, evidenziano gli esperti, si è solo guadagnato tempo, ma non si risolve del tutto la problematica. Per mettere in sicurezza le nuove reti servirebbe una normativa adeguata alle sfide attuali e occorrerebbe procedere con celerità a quanto già avviato. Ad esempio prendendo alcuni degli aspetti previsti nel decreto ormai sul punto di decadere e trasferendoli nel provvedimento – già approvato in uno degli ultimi Cdm del governo gialloverde – che ha istituito il perimetro nazionale di sicurezza cibernetica. E, ancora, procedendo alla rapida ma decisiva implementazione del Cvcn, il centro di valutazione e certificazione istituito presso il Mise che dovrebbe, nelle intenzioni, controllare che hardware e software da utilizzare in settori critici non siano affetti da pericolose vulnerabilità (il nuovo perimetro nazionale per la sicurezza informatica ha tempi più lunghi). Tanto più che l’Italia, a differenza di altri Paesi, ha deciso di non escludere a priori i player cinesi come invece chiedeva Washington (che col 5G non vede più molta differenza tra la protezione della parte core e la rete periferica), ma di basare le sue decisioni su un’analisi tecnica delle apparecchiature.
QUALE SCELTA PER L’ITALIA?
Sono questi alcuni dei passi che gli esperti ritengono necessario compiere per garantire a livello domestico un elevato livello di sicurezza delle comunicazioni, messa a repentaglio dall’aumento della superficie d’attacco (saranno milioni, se non miliardi, i nuovi dispositivi che grazie al 5G saranno costantemente connessi alla Rete) e dalla possibilità che tecnologie non adeguatamente testate finiscano nelle reti domestiche. L’Italia che intende fare a questo proposito? E con quali tempi? Dare risposta a questa domanda è quantomai urgente.