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Il 5G made in Cina? Può mettere a rischio la concorrenza. Parola di Arena (Antitrust)

Implementare oggi il 5G scegliendo solo i prodotti meno costosi, come quelli delle apparecchiature di imprese cinesi come Huawei e Zte, potrebbe tradursi nel “lungo periodo” in “costi ben maggiori, non soltanto dal punto di vista economico ma in termini di sicurezza del Paese”, per “la concorrenza” e dunque per la competitività della nazione.

Nelle ore in cui il governo sembra avviarsi all’approvazione di un nuovo decreto legge che rafforza la protezione di reti, sistemi e servizi informatici la cui difesa è fondamentale per la sicurezza nazionale, il segretario generale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), Filippo Arena – nell’ambito dell’indagine conoscitiva su 5G e big data della Commissione Trasporti della Camera – ha spiegato la visione dell’Antitrust sulla rivoluzione tecnologica in atto.

LA VISIONE DELL’ANTITRUST

Per Arena, “gli accordi tesi ad abbassare o a limitare gli standard di sicurezza per certi sistemi tecnologici, questi fondati sul 5G”, possono essere “un rischio per la concorrenza”, perché “i costi o i minor costi in questa fase per rendere sicuri i sistemi”, nel “lungo periodo potrebbero tradursi in costi ben maggiori, non soltanto dal punto di vista economico ma in termini di sicurezza del Paese” e, dunque, anche di competitività. Una frase che, pur senza mai citare direttamente la Cina, sembra riferita proprio a colossi come Huawei e Zte, accusati non solo di possibili legami con i vertici politici di Pechino ma anche perché offrono prodotti dal prezzo di mercato troppo basso rispetto a quello dei loro competitor occidentali.

Secondo l’Agcm è necessario “trovare un punto di caduta” e disegnare “un quadro complessivo che tenga conto di tutta una serie di equilibri complicati e difficili tra diverse esigenze” che si traduca in regole certe così che “chi opera in questo settore possa svolgere i propri investimenti nel nuovo sistema digitale da cui dipendono tutta una serie di cose che hanno a che fare invece con la realtà materiale: smart cities, Internet of things, e più in generale tutto ciò che cambierà il nostro modo di vivere.

CHIAREZZA SUL GOLDEN POWER

Nel corso dell’audizione, Arena ha ricordato “il decreto legge di luglio” che allungava i tempi di notifica e di istruttoria anche per l’applicazione dei poteri speciali anche per le reti e “che non è stato convertito”: ora “se bisogna rimettere mano al fine di identificare un quadro condiviso e stabile nel rispetto del golden power con la possibilità di stipulare contratti che abbiano a che fare con la tecnologia 5G con soggetti estranei al perimetro dell’Unione europea” (l’esercizio dei poteri speciali è esplicitamente citato nella bozza del nuovo decreto e la sua disciplina potrebbe essere ulteriormente rafforzata in sede di conversione di legge da parte del Parlamento), dice il segretario generale dell’Agcm, “lo dovremmo fissare in modo possibilmente chiaro e stabile”.

UN QUADRO CERTO PER GLI INVESTIMENTI

Poi una critica esplicita ai tentennamenti politici degli scorsi mesi, che hanno portato anche a una situazione di incertezza per gli operatori del mercato. L’Italia, ha rimarcato Arena, dovrebbe “cercare il più possibile di dare un quadro certo, condiviso e stabile rispetto alle regole che si intendono dettare per questo settore, (evitando, ndr) l’intervento episodico, sincopato tramite decreti legge non convertiti, tramite decreti poi attuativi da assumere”.

Ciò è ritenuto essenziale non solo per ragioni di sicurezza, ma anche per assicurare “uno scenario all’interno del quale chi deve prendere decisioni di investimento sappia che quella è la storia che non cambierà domani”.

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