Skip to main content

Elezioni in Afghanistan, ecco cosa c’è in gioco (anche per gli Usa)

Sabato 28 settembre si svolgeranno le elezioni presidenziali in Afghanistan. Un appuntamento particolarmente importante per il Paese perché attraverso il voto si cercherà di porre fine al governo bicefalo di Ashraf Ghani, il presidente in carica, e Abdullah Abdullah, il chief executive efficer. I due leader correranno per la prima carica dello Stato.

Ma non solo. Giuliano Battiston, giornalista e ricercatore freelance, ha scritto in un’analisi per l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi) che in queste elezioni si gioca la tenuta del sistema afghano: “In ballo c’è anche la residua legittimità del sistema partorito a Bonn dopo il rovesciamento dell’Emirato islamico d’Afghanistan, il governo dei talebani bombardati alla fine del 2001, esclusi dagli accordi di Bonn e poi corteggiati diplomaticamente dagli Stati Uniti”. Con un alto tasso di partecipazione e trasparenza, il voto di sabato potrà rivestire il governo e le istituzioni della legittimità finora mancanti. Tuttavia, i talebani hanno già minacciato di colpire chi si recherà alle urne e l’astensione rischia di essere molto alta. Circa 2000 seggi – su 7366 – resteranno chiusi per motivi di sicurezza.

“Se però l’esito del voto dovesse essere di nuovo controverso, tanto controverso da imbarazzare perfino la compiacente comunità internazionale e l’alleato maggiore, gli Stati Uniti – si legge nell’analisi di Battiston -, allora il nuovo presidente […] ne uscirebbe malconcio. I talebani potrebbero gridare ancora una volta alla farsa. Le istituzioni tremare, più ancora che sotto le bordate militari degli studenti coranici, sotto il peso del proprio deficit di legittimità, ulteriormente accentuato – paradosso della politica afghana a sovranità limitata – dalle elezioni”.

I CANDIDATI

Fabrizio Foschini di Afghanistan Analysts Network ricorda come Hanif Atmar, uno dei candidati favoriti, “o comunque lo sfidante più agguerrito ai due eterni rivali nonché partner di governo Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah, ha visto ai primi di agosto il proprio team elettorale sgretolarsi e lasciarlo fuori dalla contesa”. I nomi sulla scheda elettorale sono ancora 18, ma i candidati rimasti sono 16; due soli quelli più plausibili.

“La maggior parte degli altri candidati, al di là delle ideologie, si possono dividere in veterani, tra alti e bassi sulla scena ormai da decenni – spiega Foschini – e in politici più giovani che però hanno ricoperto ruoli importanti negli ultimi anni”. La maggior parte dei team presidenziali è composta per soddisfare le sottintese “leggi dell’inclusività etnica”. Questa volta però, a differenza delle altre elezioni, c’è un’importante assenza di donne.

LA STRATEGIA DEI TALEBANI

Per Antonio Giustozzi dell’Ispi, i talebani in Afghanistan hanno una strategia e tre obiettivi in questo processo elettorale. Finora si sono sempre astenuti di attaccare gli elettori prima e, il giorno delle elezioni, aprivano fuoco contro le file di chi voleva esercitare il diritto al voto.  Negli ultimi mesi però si sono concentrati sui negoziati con gli Stati Uniti, fino all’annuncio del presidente Donald Trump di chiudere con il dialogo.

“I talebani sanno che se e quando il negoziato riprenderà – spiega Giustozzi – Ghani sarà la loro controparte afghana. Pertanto cercano di indebolirne la futura posizione cercando di spingere la partecipazione elettorale ai minimi storici. Per fare questo si stanno impegnando in una serie di attacchi terroristici contro civili senza precedenti, sia per la loro frequenza sia per il loro carattere di attacchi contro civili (elettori). […] Si tratta dell’inizio di campagna elettorale più sanguinoso della storia afghana”.

“I talebani appaiono avere tre obiettivi principali con la loro campagna eccezionalmente violenta contro le elezioni presidenziali – conclude il ricercatore -: minare la legittimità di Ghani nel suo secondo mandato, ricordare all’amministrazione Trump cosa sarà l’Afghanistan se i talebani dovessero togliersi i guanti che hanno indossato all’inizio del 2019, e cercare di provocare una nuova crisi post-elettorale a Kabul, che potrebbe rappresentare un test serio per la ritrovata volontà di Trump di restare in Afghanistan”.

LO STATO DELLE FORZE

Riusciranno le forze armate a contenere la violenza in queste elezioni? Per Claudio Bertolotti di Start Insight, la situazione è critica: “L’elevato e crescente tasso di diserzione, il mancato rinnovo della ferma e gli allontanamenti arbitrari – fenomeni che sempre più preoccupano i vertici militari afghani e delle missioni Usa e Nato – anticipano la possibile dissoluzione delle forze di polizia, in primis, e dell’esercito. Un esito che passerebbe attraverso un progressivo indebolimento dell’intero complesso difesa-sicurezza”.

I talebani operano su due piani: da una parte, esercitando forte pressione sulle famiglie dei soldati afghani e sulle comunità di appartenenza; dall’altro lato, creando una situazione di panico tra le truppe. “È valutato che circa un terzo delle truppe afghane al fronte sia costituito da soldati giovani e inesperti, e dunque più vulnerabili”, sostiene Bertolotti.

I RAPPORTI CON WASHINGTON

Per Andrea Carati, lo stallo nei rapporti tra Washington e Kabul influirà nel risultato del voto: “Il profondo disinteresse per l’Afghanistan manifestato da Trump a più riprese, unito all’accelerazione sul negoziato con i talebani tenendo fuori il governo di Kabul, hanno scavato un fossato fra Washington e Ashraf Ghani, il quale si sente alla vigilia delle elezioni isolato più che mai”. Anche se già dai tempi di Barack Obama la relazione non ha fatto altro che peggiorare, negli ultimi due anni la distanza tra Stati Uniti e Afghanistan è aumentata.

“Trump si muove in un contesto di generale disimpegno, in cui cala la presenza militare, cala il supporto finanziario a Kabul da parte dei donors internazionali e calano l’attenzione e l’interesse strategico per l’Afghanistan – scrive Carati –. […] Il governo di Kabul ha necessità che le elezioni presidenziali si svolgano con successo, almeno parziale, e non vengano del tutto compromesse dai problemi di sicurezza […] i talebani hanno ora tutta l’urgenza di rispondere alla sfida di Trump dando prova della loro capacità offensiva e del loro controllo sul territorio”. Le elezioni presidenziali sono purtroppo uno dei migliori teatri immaginabili.

×

Iscriviti alla newsletter