Tra le deleghe che sono state attribuite in seno alla Commissione europea appena insediata a Bruxelles, spiccano quelle della francese Sylvie Goulard. La nuova commissaria sarà responsabile del Mercato unico con ampie responsabilità e portafoglio su Industria, Difesa, Digitale e Spazio. I dettagli operativi della struttura organizzativa rivelano per il settore spaziale un piano strategico evidentemente già elaborato da tempo, come abbiamo avuto modo di sottolineare nei mesi scorsi in vari articoli.
La Goulard disporrà di tre Direzioni generali per la Crescita, il Digitale e la Difesa-Spazio. Pertanto, poiché per lo sviluppo di progetti comuni nella Difesa la Ue ha stanziato 13 miliardi di euro dal 2021 al 2027, lo Spazio rientrerà appieno in questa strategia comunitaria di programmi di ricerca militare. Nel verboso gergo dei documenti comunitari, la promozione di questi progetti è accompagnata da considerazioni per cui la ricerca nel campo della Difesa consentirà di ottenere importanti ricadute anche nel settore civile con applicazioni e servizi migliori per i cittadini, proprio come avviene negli Stati Uniti.
Quest’enfasi è giustificata dal fatto che, sino a oggi, in Europa l’unico vero ente comunitario che ha sviluppato programmi spaziali è l’Esa (oltre all’agenzia francese Cnes, che di fatto ha tutte le competenze e le infrastrutture per poter operare autonomamente), la quale però non può per statuto costitutivo sviluppare programmi a diretta vocazione militare. In pratica, con la duplice valenza dialettica del “dual-use”, l’Ue potrà indirizzare i programmi dell’Esa per una R&S di utilizzo anche a scopi di Difesa. Sarebbe infatti troppo burocraticamente complesso, oltre che not-politically- correct vis-s-vis dei cittadini europei, operare una esplicita trasformazione dello statuto dell’agenzia perché evidenzierebbe troppo platealmente uno spostamento del baricentro strategico dello Spazio europeo dal mondo civile a quello della Difesa.
Forse, nei prossimi anni, ciò potrà anche avvenire ma per il momento non pare essere in agenda. Il motivo? La Francia si è già ingaggiata a creare la propria Forza armata spaziale, ha orientato con indubbio dirigismo di Stato la politica spaziale della nuova Commissione europea e si appresta a impostare anche presso la Nato la continuità della propria strategia militare di “adesione partecipativa” ereditata dal generale De Gaulle (storicamente sin dal dopoguerra Parigi operò uno strappo “controllato” dalla Nato e la sua “force de frappe” valeva come garanzia francese sulla Germania ovest in caso di invasione sovietica).
Occorre ricordare che a giugno scorso i ministri della Difesa dei Paesi Nato hanno approvato una nuova Space Policy globale, i cui dettagli operativi dovrebbero essere delineati a dicembre. Ciò definirà l’approccio dell’Alleanza per lo Spazio, con l’obbiettivo di condividere le informazioni e aumentare l’interoperabilità delle operazioni. In questo contesto, si terrà a novembre la prossima riunione ministeriale dell’Agenzia spaziale europea (Esa) al fine di decidere un piano di investimenti per i prossimi anni di circa 16 miliardi di euro. Si tratta di un budget significativo che, se approvato, comporterebbe un deciso aumento delle sottoscrizioni degli Stati membri, rispetto ai valori attuali, portando il bilancio annuale dell’agenzia da 4 a 5 miliardi di euro, esclusi i contributi Ue.
Questo budget dell’ente spaziale è essenziale per il concreto sviluppo dei nuovi sistemi spaziali il cui indirizzo strategico sarà definito dal Commissario Ue Goulard e dalla Nato, dato che l’accordo siglato dallo scorso Parlamento europeo per il programma spaziale dell’Unione prevede sì la spesa di 16 miliardi di euro per il periodo 2021-2027, anche se 15,5 miliardi sono già destinati al programma di navigazione satellitare Galileo e a quello di osservazione della Terra Copernicus, lasciando solo 71 milioni annui per lo sviluppo di tecnologie per la Sicurezza e Difesa. In pratica, l’attuale budget comunitario rappresenta una programmazione finanziaria che assicura una stabilità operativa per Galileo e Copernicus, ma non ha un reale impatto sui nuovi programmi dedicati alla sicurezza. Ecco perché il bilancio dell’Esa diviene essenziale per la strategia europea, pardon francese.
Nel momento in cui la Commissione europea assume un ruolo decisivo nell’implementazione e nella gestione di tutti quei programmi spaziali i cui contorni tra usi civili e militari – o per meglio usare la terminologia di Bruxelles, “di sicurezza e difesa” – diventeranno sempre meno distinguibili, l’Esa potrà far aderire la propria strategia a quella indicata da Bruxelles e sarà svuotata di capacità decisionali autonome (fatta salva la componente delle missioni scientifiche) restando un partner attuativo, cioè un consulente tecnico-programmatico dell’Unione. Considerando che l’attuale direttore generale dell’Esa, il tedesco Jan Woerner, in carica dal 2015, è stato prorogato sino alla metà del 2020 appare chiaro che i circa diciotto mesi di mandato che separano l’attuale vertice con l’entrata in vigore del budget da approvarsi alla ministeriale sono decisivi in termini di impostazione operativa dei programmi in sinergia con gli indirizzi della Commissione europea.
Poiché negli ultimi diciotto anni alla guida dell’Esa c’è stata sempre una diarchia franco-tedesca, non è improbabile che il terzo Paese contributore, cioè l’Italia, possa reclamare il ruolo di direzione generale a fronte di una convinta adesione al piano di investimenti da discutersi alla ministeriale. Ed è altamente probabile che Parigi e Berlino possano magnanimamente concederla dimostrando così spirito di condivisione, collaborazione e armonia tra i governi. Tutti termini che riecheggiano in questi giorni a proposito della nomina di un Commissario italiano agli Affari economici, le cui deleghe però sembrano un po’ sbiadite rispetto al predecessore. Parimenti potrebbe accadere per l’Esa: un italiano sulla poltrona più prestigiosa dell’ente spaziale, cioè alla guida di un’auto dove il volante è a Bruxelles.