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Bibi in campagna elettorale. Dopo Trump e Pompeo, l’incontro con Putin

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha incontrato al Bocharov Ruchey di Sochi il presidente russo, Vladimir Putin. “Sono felice di vederti di nuovo (è il tredicesimo faccia a faccia tra i due leader, ndr). Le relazioni tra Russia e Israele non sono mai state più vicine. Da un lato è naturale. Come hai detto, ci sono oltre un milione di persone che parlano il russo in Israele che costituiscono un ponte tra i due paesi”, ha commentato Netanyahu, che ha fatto ruotare la visita attorno a questioni profonde, i legami tra ebraismo e Russia, la sconfitta del nazismo (c’è stato un invito ufficiale, pubblico per gennaio, in occasione dei 75 anni dalla liberazione di Auschwitz e dalla dedica del memoriale agli eroi dell’assedio di Leningrado).

Ma non solo. L’israeliano ha precisato che “il rafforzamento della relazione tra i nostri due paesi è anche il frutto di altre due cose: la nostra politica reciproca, razionale, e la connessione diretta tra di noi. Questa connessione impedisce inutili e pericolosi attriti tra le nostre forze ed è una componente fondamentale della stabilità regionale”. Ancora su questo: “Ho apprezzato molto quando hai detto che la sicurezza di Israele è importante per te. Questo trova espressione negli incontri che abbiamo e nell’importante incontro che ho appena avuto con il ministro della Difesa [Sergei] Shoigu“.

Quest’ultima affermazione è un elemento di interesse prioritario su cui si tornerà, ma prima di andare avanti serve una contestualizzazione del viaggio sul lato israeliano. Il 17 settembre, martedì della prossima settimana, si voterà in Israele. È in corso un testa a testa tra Netanyahu e l’ex comandate delle forze armate Binyamin Gantz, leader della squadra di Generali di Blu e Bianco, mentre l’ex ministro Avigdor Lieberman farà da ago della bilancia. I cittadini sono stanchi, è il secondo voto in un anno (mai successo nella storia dello stato ebraico), gli schieramenti sono pressoché identici a quelli di aprile, tutto si giocherà sull’affluenza – è stimato circa un 40 per cento di elettori indecisi.

Netanyahu, che ha cercato vari passaggi per corteggiare l’elettorato di destra, sta concentrando negli ultimi giorni la propria strategia elettorale, e il passaggio in Russia ne è parte tanto quanto la recente assertività spinta sulla Cisgiordania. Con un valore geopolitico da giocare all’interno della competizione elettorale. Dopo aver sfruttato tutto il potenziale di sostegno pre-elettorale della Casa Bianca, nel giro di pochi Bibi ha prima incontrato a Londra il premier Boris Johnson (anch’egli in posizione critica), poi il capo del Pentagono, Mark Esper, con cui ha intavolato questioni di sicurezza da poter utilizzare nei comizi conclusivi, e ora, infine, Putin.

Col russo l’incontro ha toccato faccende geopolitiche e di sicurezza nazionale che però, visto la connotazione ancestrale di Israele, possono essere anche un elemento di appeal elettorale. Ha detto Netanyhua: “Il coordinamento della sicurezza tra di noi è sempre importante, ma è particolarmente importante in questo momento, perché il mese scorso ha visto un aumento molto grave del numero di tentativi da parte dell’Iran di attaccare Israele dal territorio siriano e anche di piazzare lì missili di precisione contro di noi”.

Queste parole le risentiremo probabilmente nei comizi finali e più decisivi. Un tentativo per smuovere chi martedì non vorrebbe andare ai seggi, utilizzando i rischi per la stabilità e l’esistenza israeliana davanti a un nemico che vorrebbe cancellare lo stato ebraico dalla cartina. È un tema su cui poter fare politica certamente. Parlarne con la Russia ha però anche un valore strategico: l’Iran sta effettivamente ripensando, da anni, la Siria come una piattaforma avanzata per lanciare attacchi – non tanto diretti, quanto usando proxy come Hezbollah – contro Israele. E l’unico modo per contenere l’espansione iraniana in Siria è attualmente parlare con la Russia, che ha il controllo politico del regime assadista e può limitare l’influenza di Teheran a Damasco.

Poi ci sono le azioni preventive viste centinaia di volte, quelle con cui i caccia israeliani hanno martellato i passaggi di armi sofisticate che i Pasdaran usano per provare a rafforzare le milizie sciite (come Hezbollah, appunto) sfruttando il caos della guerra civile siriana. Non è un caso se ultimamente alcune di queste azioni, finora tenute sotto ambiguità strategica e mai confermate, sono state rese pubbliche dal governo Netanyahu. “Per noi è intollerabile” dice l’israeliano a Sochi, “stiamo prendendo provvedimenti; pertanto, dobbiamo anche garantire che il coordinamento tra di noi prevenga l’attrito”.

Quel “coordinamento” è uno degli elementi forti nelle relazioni tra Mosca e Gerusalemme: i russi hanno il controllo dei cieli in Siria, e chiaramente osservano le operazioni israeliane contro i Pasdaran, ma fischiettano, chiudono entrambi gli occhi, sfruttano un canale di comunicazione diretto per evitare incidenti (che pure ci sono stati, ma per colpa dei siriani). Non permettano nemmeno ai pezzi dorati della contraerea siriana, tutti Russia Made e gestiti da advisor arrivati dalla Russia, di entrare in azione (l’esercito siriano usa armamenti vecchi, e almeno una volta ha sbagliato e colpito un aereo russo con una ventina di militari a bordo: una strage).

La questione fa notevolmente indispettire l’Iran, ma Mosca ha con Teheran un’alleanza di utile interesse, per niente condivisa dal punto di vista delle visioni – e ora che la guerra siriana volge verso la fase successiva, quella delicatissima della ricostruzione, anche politica, del paese, queste distanze emergono ancora più spesso. Israele invece, collegato molto bene con l’Occidente, è un asset strategico.

Netanyahu sa di poter contare sulla leadership nel suo partito, il Likud, ma sa anche questo sostegno è piuttosto legato al mantenimento di una posizione di potere. Sotto quest’ottica, diversi osservatori ritengono la via della coalizione di unità nazionale – a guida Bibi – una soluzione di uscita che potrebbe garantire all’attuale primo ministro il mantenimento dei propri interessi (e della propria sicurezza in vista dell’avvio, a ottobre, dei procedimenti giudiziari a suo carico). Tutto passa anche da faccende di carattere regionale. Stabilità, sicurezza, geopolitica, interessi, e consensi collegati.

(Foto: Twitter,  @IsraeliPM)

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