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Le divisioni del centrodestra? La prova della legge elettorale. Analisi di Capozzi

Le valutazioni divergenti emerse ancora una volta tra i partiti del centrodestra in materia elettorale dimostrano che l’identità e gli equilibri di quello schieramento politico sono ancora in via di non scontata ridefinizione.

Quello che nei decenni scorsi fu la coalizione “berlusconiana” ha decisamente spostato il suo baricentro negli ultimi anni, con il progressivo declino di Forza Italia, la crescita esponenziale della Lega sotto la guida di Matteo Salvini e quella – minore nelle proporzioni, ma solida e consistente – di Fratelli d’Italia. Tanto da spingere parecchi osservatori a suggerire che si dovrebbe parlare ormai solo di “destra”, o a prefigurare addirittura una sorta di monopartitismo leghista.

Ma le cose sono molto meno semplici. Salvini ha portato la nuova Lega “nazionale” a divenire saldamente il primo partito italiano, ma – come hanno mostrato gli eventi delle scorse settimane – la sua posizione nel quadro politico rimane tuttora fragile, e la fortissima polarizzazione personale e ideologica da lui suscitata consente ancora la costruzione di un fronte tenuto insieme da una conventio ad exludendum, in grado di metterlo almeno temporaneamente fuori gioco.

Inoltre, nonostante la sua nettissima preponderanza, anche a destra la Lega non è ancora autosufficiente, e per sperare di tornare al governo in un futuro più o meno vicino deve necessariamente trovare un punto d’incontro con quelli che, a livello locale e nazionale, continuano a essere i suoi alleati. A tale scopo essa dovrebbe innanzitutto chiarire – a se stessa e a loro – quale idea intende porre alla base della sintesi politica che Salvini stesso dichiara di voler costruire.

Il leader leghista ha ragione quando pone l’accento sull’importanza di una trasformazione della legge elettorale in senso maggioritario per rafforzare la sovranità popolare e la governabilità, e impedire in futuro la degenerazione oligarchico assembleare del parlamentarismo italiano (puntando in prospettiva alla repubblica presidenziale). Ma non dovrebbe stupirsi del fatto che Fi e Fdi esprimano, sulle soluzioni concrete, resistenze e distinguo, e ribadiscano con orgoglio la propria specifica identità.

Al di là della volontà di quelle forze – soprattutto dei berlusconiani – di sopravvivere e non essere fagocitate, esiste un problema fondamentale di strategia politica. La Lega non è, per ora, il partito in grado di rappresentare in sé le istanze di tutta la società italiana contraria alla sinistra e ai 5 Stelle. Per vincere, e durare, deve trascendere se stessa, costruendo una coalizione politica (e sociale) che, al di là dell’insegna sovranista, esprima efficacemente la cultura politica liberale, cristiana, conservatrice.

È un compito non facile, che necessita una convergenza organizzata di riflessioni, proposte, intelligenze: insomma una vera e propria stagione costituente. In caso contrario la destra a trazione salviniana rischia – anche nella più ottimistica ipotesi di una prossima, netta vittoria elettorale – l’ennesima deriva di frammentazione, immobilismo, trasformismo.

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