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Vi spiego il passo indietro di Pechino su Hong Kong. Parla Sisci

Con una mossa inaspettata, le autorità di Hong Kong hanno annunciato oggi il ritiro della controversa proposta di legge sull’estradizione, motivo scatenante delle ultime proteste nell’isola.
Si tratta di “una concessione importante – estremamente rara nella politica cinese – che va incontro a quanto chiesto dai manifestanti”, spiega a Formiche.net il sinologo Francesco Sisci, saggista, editorialista e ricercatore della China’s People’s University. Tuttavia, aggiunge lo studioso, la decisione non risolve le cause più profonde del malessere, che per essere risolte necessitano di scelte politico-economiche coraggiose e ben calibrate da parte della Cina. Ecco quali.

Dopo l’escalation di proteste degli ultimi mesi, oggi c’è stata una svolta a Hong Kong. La governatrice dell’isola Carrie Lam (nella foto con il presidente cinese Xi Jinping) ha annunciato il ritiro della proposta di legge sull’estradizione che ha scatenato le ultime manifestazioni. Perché?

Cominciamo col dire che si tratta di una concessione importante – estremamente rara nella politica cinese – che va incontro a quanto chiesto dai manifestanti. Arriva su impulso di Pechino, dopo che ogni tentativo di sospendere la proposta è stato respinto con forza negli ultimi due mesi dagli autori della proteste. Si è deciso dunque di ritirarla, il che significa che, per essere eventualmente approvata in futuro, l’iter legislativo dovrà ripartire da capo.

Come mai questa concessione?

Ci sono due ragioni principali: una politica, l’altra economica, strettamente collegate tra loro. Con questa mossa, Pechino ha inteso fare un primo passo nella direzione di una riconciliazione con gli abitanti dell’isola. Il motivo è che Hong Kong è oggi insostituibile per l’economia cinese.

Perché Hong Kong è oggi insostituibile?

Si sente spesso parlare di progetti di sostituzione di Shanghai con Hong Jong, ma la verità è che, almeno adesso, quest’ultima ha due caratteristiche che nessuna piazza continentale ha: una moneta diversa da quella cinese e un cambio in conto capitale, che vuol dire che chiunque può investire nella sua borsa e ritirare i suoi soldi in qualsiasi momento lo desideri. Ciò rende ancora più delicata la situazione, perché oggi Hong Kong è l’unica, vera valvola di scambio con la Cina popolare. Senza l’isola, l’economia di Pechino perderebbe il più rilevante canale di comunicazione con i mercati e i capitali esteri.

Con questo passo indietro la situazione a Hong Kong è ricomposta?

Forse per quanto riguarda le ultime proteste sì, ma lo scopriremo solo nei prossimi giorni. Perché, di fondo, le manifestazioni a Hong Kong, iniziate nel 2014, traggono motivazione da ragioni strutturali, risolvibili solo a medio- lungo termine.

Di che ragioni si tratta?

Essenzialmente nell’isola è fermo l’ascensore sociale. Il mercato a Hong Kong è di fatto monopolizzato da gruppi di miliardari che hanno buone relazioni con Pechino. Questi imprenditori minimizzano ogni possibilità di ricambio sociale dal punto vista economico. Il livello del costo della vita a Hong Kong, pur a fronte di stipendi elevati secondo i nostri canoni, è talmente alto che persone normali non possono sperare in aumenti salariali che bastino a raggiungere condizioni di vita dignitose. A questo si aggiunge il fatto che non si è in democrazia, quindi viene soffocata anche ogni possibilità di migliorare la società sostenendo politiche migliorative. Si tratta in pratica di una società ferma, che chiede di essere liberata. Servirebbe dare speranze, fornire nuove possibilità di scalata sociale e nuove possibilità di cambiamento politico.

Crede che Pechino farà passi in questa direzione?

Si tratta di un percorso pieno di ostacoli. Se la Cina decidesse di rendere più aperto il mercato a Hong Kong, i miliardari che oggi sostengono il Partito Comunista potrebbero rapidamente scaricarlo. Paradossalmente è più semplice che si apra a forme di liberalizzazione politica, ma Pechino non vuole che l’isola diventi il trampolino di lancio di una rivoluzione nella Cina continentale. bisogna conciliare questa preoccupazione con i poteri economici e le ragioni dei manifestanti. Naturalmente è difficile farlo in astratto, bisognerà trovare delle soluzioni concrete, che necessitano una interlocuzione con tutte le parti in causa. L’avvenimento di oggi lascia ben sperare.


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