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Il clima che cambia e le proteste che montano. La riflessione del prof. Pennisi

Questo fine settimana, la manifestazione “mondiale” dei giovani a favore di politiche, programmi e misure che rallentino (e, nell’ipotesi migliore, blocchino) il cambiamento climatico sarebbero dovuto essere un segnale importante e pacifico a favore di uno sviluppo maggiormente sostenibile dell’attuale. Purtroppo, il diavolo ci ha messo lo zampino e sono diventate, a New York, una dimostrazione marcatamente contro il capitalismo e l’economia di mercato ed a Parigi uno sfogo violento contro i simboli dei ceti borghesi (con il consueto corredo di auto incendiate e vetrine distrutte). Ciò minaccia di danneggiare il movimento a favore dello sviluppo sostenibile.

In primo luogo, c’è limitata evidenza scientifica che il fattore antropico sia la determinante principale del cambiamento climatico di questi decenni. Ce ne sono stati ancora più drammatici nei millenni della storia del mondo, anche in tempi relativamente recenti. Basti pensare, ad esempio, che nell’esempio fatto da David Ricardo a supporto della teoria sui costi comparati e vantaggi del commercio internazionale, a inizio Ottocento il vino era un prodotto tipico inglese ed il panno era, invece, portoghese. L’umanità ha sempre sopravvissuto ai cambiamenti climatici. Senza dubbio, l’industrializzazione e l’uso di combustibili fossili hanno aggravato la situazione ed accelerato il cambiamento climatico di questi decenni.

In secondo luogo, l’evidenza è che le economie di mercato ed il sistema capitalista, con tutti i suoi limiti, ha utilizzato politiche, programmi e misure più consapevoli dei problemi ambientali di quanto non lo abbiamo fatto le economie del ‘socialismo reale’ e le ‘economie emergenti’. Non per buon cuore od altruismo, ma perché il mercato fornisce segnali eloquenti di scarsità relative ed orienta, quindi, gli agenti economici.

In terzo luogo, la riduzione di emissioni è, senza dubbio, necessaria. Essa comporta miglioramenti tecnologi ed investimenti (di dimensioni enormi) per produrre sistemi elettrici che non richiedano impianti a combustibile che producono diossido di carbonio, una vera e propria rivoluzione nei trasporti, un riassetto nei processi di produzione industriale. Il percorso è già iniziato ma il sentiero è lungo e pensare che possa essere effettuato in dieci anni (come dai proclami di questi giorni) è semplicemente illusorio. E manifestazioni violente, come quelle di ieri 21 settembre, rischiano di ritardarlo.

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