Se davvero tra Roma e Bruxelles è sbocciata una nuova sintonia, lo si capirà molto presto. Quando cioè l’Unione dovrà dire la sua su alcune richieste specifiche dell’Italia per tentare di uscire dal pantano della stagnazione. Una di queste rischieste è arrivata dal neo-ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, alla vigilia della sua partecipazione all’Ecofin, nel corso del quale si potrebbe aprire finalmente il cantiere per la riscrittura del Patto di Stabilità.
In un’intervista a Repubblica, il successore di Giovanni Tria ha ribadito la centralità di un Green new deal (qui l’intervista a Davide Tabarelli, presidente Nomisma Energia), una rivoluzione della sostenibilità tutta giallorossa, incastonata nel programma del nuovo governo. Obiettivo, ottenere l’avvio di una discussione al livello europeo per arrivare scorporare gli investimenti italiani in materia ambientale dal calcolo del deficit. “Sosteniamo l’idea di un Green new deal presente nel programma del governo e della Commissione fondato su un piano straordinario di investimenti pubblici e privati. In questo quadro sarebbe opportuno che la quota di finanziamenti nazionali ricevesse un trattamento diverso da quello attuale e venisse scorporata dal calcolo del deficit strutturale”, ha spiegato Gualtieri. Strada giusta? Richiesta lecita? Formiche.net ha sentito Alberto Clò, economista, docente, già ministro dell’Industria e del Commercio nel governo tecnico di Lamberto Dini (1995-1996).
UNA SCELTA GIUSTA
“Mi trovo d’accordo con questa richiesta, perché se dobbiamo cominciare a pensare a un cambiamento in senso sostenibile, cosa che peraltro è contenuta negli impegni programmatici di questo governo, allora bisogna anche avere gli strumenti per farlo. L’unica possibilità è d’altronde investire, non si può avere sostenibilità senza investimento“, spiega Clò. “Inoltre se la sfida è il cambiamento climatico: bisogna postare nei bilanci delle risorse e bisogna avere modo di farlo. Risorse che però non devono essere disperse, sotto forma di incentivi e sussidi, ma devono essere collocate con intelligenza”. Clò si sofferma anche su un altro aspetto. Il nuovo corso inaugurato da Ursula Von der Leyen “che ha promesso una maggiore attenzione ai cambiamenti climatici. Ecco se questa missione è vera allora i Paesi che investono nel green devono poterlo fare senza troppa difficoltà. Io spero che l’Unione accolga questa richiesta italiana, non si combatte il cambiamento climatico con delle briciole, servono impegni serie”.
UN’AGENDA (VERDE) PER L’ITALIA
Appurato che la proposta di sganciare gli investimenti verdi dal deficit è sacrosanta, su quali fronti si dovrebbe muovere l’Italia? “Innanzitutto tutto dobbiamo partire dal dissesto idrogeologico del nostro Paese. Servono politiche per prevenire disastri naturali, per ridurre i mille punti di vulnerabilità del nostro Paese. Questa nuova Commissione europea deve capire che non ci sono solo le rinnovabili come investimenti, ma anche quelli con cui evitare delle catastrofi che al pari delle prime vanno tenute fuori dal deficit. Il fatto è che è sbagliato pensare che la sostenibilità sia solo energia rinnovabile, c’è molto altro. Per esempio il risparmio energetico, che è la vera partita anche per l’Italia. Ecco tutto questo, rinnovabili, lotta al dissesto idrogeologico e risparmio energetico necessita di investimenti che non possono gravare sul nostro deficit. Deve essere però un discorso a livello europeo: il punto di caduta è allineare gli investimenti agli obiettivi che siamo fissati, perché fino ad ora la spesa non è stata all’altezza degli obiettivi e per questo che un ragionamento sulla possibilità di aumentare gli investimenti va fatto”.
TRA PRIVATIZZAZIONI E PIANO CAPRICORN
La conversazione con Clò trova spazio anche in un altro dossier, oltre al Green new deal giallorosso. Le privatizzazioni. L’anno scorso l’allora governo Lega-M5S aveva promesso a Bruxelles privatizzazioni per 18 miliardi di euro per far tornare i conti della legge di Bilancio e che andavano incassati entro il 2019. A oggi, 9 settembre, però non è stato incassato neppure un euro con cui ridurre il debito. Per questo in auge sarebbe tornato il piano Capricorn, tra i cui ispiratori c’è il numero uno di Cassa Depositi e Prestiti, Fabrizio Palermo. Non si tratta di vere privatizzazioni, bensì del trasferimento alla stessa Cassa delle rimanenti partecipazioni facenti capo al ministero dell’Economia. In questo modo, lo Stato non incassa nulla perché non vende nulla, ma dal punto di vista contabile la differenza c’è visto che le quote in essere uscirebbero dal perimetro della Pa, e dunque dal bilancio statale alleggerendolo.
“Mi sembra un’azione più di forma che di sostanza, un giro di conto con cui ridurre l’impegno del Mef ma nei fatti se non è zuppa è bagnato. Questo sistema non fa altro che trasferire una titolarità di una quota da un pezzo di Stato all’altro, non rappresenta una vera svolta se parliamo di privatizzazioni vere. Il piano Capricorn può aiutare in ottica debito, questo sì, ma allora non parliamo di privatizzazione. Le privatizzazioni sono altre, ovvero la cessione vera e propria della quota, la sua uscita, perdendo il controllo su certe aziende. Ma oggi vendere la quota pubblica di Eni o Enel mi parrebbe francamente molto avventato, in passato abbiamo avuto esempi negativi”.